Domenica di Pasqua

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

La crocifissione di Gesù espone i discepoli al dramma della sua assenza, al senso di perdita, di abbandono, di vuoto, al doloroso impatto con la delusione e i sogni infranti. Nonostante egli avesse ripetutamente parlato della sua morte necessaria e della futura risurrezione, essi avevano preferito eludere l’argomento concentrandosi su un tema che sollecitava maggiormente il loro interesse: chi fra di loro fosse il più grande (Mc 9,34). Anche adesso, dopo la sua morte, essi “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. Forse solo la Vergine Maria, abituata a custodire le “cose” del Figlio “meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19), avrà ricordato quelle parole in cui trovare motivi per credere e sperare. I personaggi del Vangelo di oggi, invece, non hanno ancora superato quella soglia che li renderà veri credenti. 

Per prima incontriamo Maria di Magdala, la donna dall’amore eccedente come usava definirla il card. Martini. A differenza dell’altra Maria, la Madre di Gesù, la Maddalena non sembra ricordare le parole dell’amato né fondare su di esse la fiducia. Quando vede che la pietra è stata tolta dal sepolcro la sua reazione è istintiva, immediata, globale; ella, infatti, non coglie i dettagli importanti – i teli posati – che invece Giovanni percepirà subito. Nel suo eccesso di amore ardente, quell’amore che le aveva fatto affrontare senza esitazione i pericoli che una donna sola può correre di notte, essa si sarà sentita privata anche dell’ultima consolazione: ungere con aromi il corpo dell’amato. Per questo motivo, nel desiderio di ritrovare il corpo e non perché si era accesa in lei la speranza di vederlo risorto, la guardiamo correre da Pietro e poi, in un brano successivo a quello di oggi, piangere all’esterno del sepolcro. Alla sua corsa corrisponde in senso contrario quella di Pietro e del discepolo che Gesù amava.  La reazione del primo è diametralmente opposta a quella della Maddalena: mentre la donna aveva reagito d’istinto, guidata dal suo amore ferito, Pietro osserva. Egli è arrivato secondo rispetto all’altro discepolo, probabilmente non solo a causa dell’età più avanzata ma perché le sue paure e il suo rinnegamento lo hanno posto in secondo piano rispetto all’altro, che si è invece conservato fedele al suo Signore rimanendo ai piedi della croce insieme alla Madre. Pietro, la cui colpa è stata risanata dallo sguardo amorevole di Gesù, osserva in silenzio, forse stupito di fronte all’insolita e inattesa scena, una scena che probabilmente non gli permette di condividere la lettura immediata e imprecisa che ne aveva dato la Maddalena: chi trafuga un cadavere non si preoccupa, infatti, di posare con attenzione teli e sudario. L’osservare è un’azione lenta, accompagnata spesso da pensieri, riflessioni, interrogativi; nel caso di Pietro possiamo pensarla anche abitata dai primi bagliori di una nuova speranza che egli vede nascere nel cuore. La velocità con cui il discepolo amato passa dal vedere al credere ci parla invece della sua capacità di percepire la presenza nell’assenza, la vittoria della Vita sulla morte. La visione piena è, dunque, data a colui che si è mostrato fedele e ha creduto all’amore; è tuttavia consolante pensare che da tutti e tre, e anche da tutti noi malgrado il nostro fragile amore, il Signore si è lasciato e sempre si lascia trovare per donarci la luce della sua Pasqua.