Due novembre: l’oltre
E dopo? Il nulla o l’eternità? Preferisco l’eternità. Ma pensandoci bene, anche il nulla potrebbe essere eterno. Ma se fosse eterno non ci sarebbe niente. Allora parliamo di eternità negativa (il nulla) e di eternità positiva: «la vita non è tolta ma trasformata» (cfr primo prefazio dei defunti). L’eternità positiva – o semplicemente eternità – è il contrario del tempo.
Il tempo è fatto di passato e di futuro. Il presente in pratica non esiste, perché inafferrabile. Vivere nel tempo significa passare continuamente dal passato al futuro, che diventa subito passato. Il presente è il convenzionale raccordo fra passato e futuro. E’ significativo il fatto che la lingua ebraica – la più divina di tutte le lingue perché in essa è scritta ampia parte della Bibbia – non abbia nel suo sistema verbale il tempo presente!
L’eternità è esattamente il contrario: solo presente senza passato né futuro. Noi, che non riusciamo ad afferrare il presente, non riusciamo neanche a immaginarla. Che delusione!
Ma il nulla mi soddisfa ancor meno. Il pensiero che non ci possa essere una buona volta un riequilibrio delle sorti, ossia una punizione, almeno in termini di purgatorio (mai da sottovalutarsi), per i gaglioffi e una remunerazione per i meritevoli, mi fa sembrare ancora più assurda la vita presente. Inoltre l’eternità è necessaria perché paradiso e inferno possano essere quello che pretendono di essere. Infatti se sono rispettivamente “ogni altro bene senza alcun male” e “ogni altro male senza alcun bene”, vuol dire che sono rispettivamente felicità assoluta e tormento assoluto. E dove c’è l’assoluto non ci può essere mutamento, diversamente non sarebbe più assoluto. Ma il mutamento presuppone un prima e un dopo, dunque il tempo che comporterebbe contraddizione all’eternità.
Ora lasciamo stare questi filosofemi, anche se mi divertono, e ciascuno pensi ai defunti dei quali è destinato ad aumentare la popolazione.
«NON CONOSCERE LA BIBBIA
È’ NON CONOSCERE CRISTO»
Sto scrivendo poco dopo 30 settembre che è la memoria liturgica di san Gerolamo (342–420). Questo irascibile dottore della Chiesa ha scritto nel suo commento al profeta Isaia la frase in titolo. (ignoratio Scripturarum ignoratio Christi est). Ha ragione: è un po’ come dire che se non si conosce il libro di Pinocchio non si conosce Pinocchio. Quindi per conoscere Cristo e potersi dire cristiani occorre avere almeno un pizzico di conoscenza della Bibbia.
Leggerla tutta non è un’impresa da poco, ma non è vietato. Una volta si cercava goffamente di dissuadere i fedeli dalla lettura della Bibbia, specie l’Antico Testamento, come se ci fosse qualcosa da temere. Va detto che alcune pagine sono decisamente datate, altre sono decisamente barbose, e non mancano particolari un po’ piccanti. Altre invece sono attualissime, altre edificanti e altre sono persino divertenti, come gli Atti degli Apostoli, ove non manca la componente avventurosa. Non tutta la Bibbia è per il cristiano di pari importanza. Ad esempio i Vangeli sono più importanti del Levitico. Chi non ha mai fatto una lettura seria e perseverante della Bibbia è bene che cominci con i Vangeli e gli Atti degli Apostoli, tanto per farsi l’orecchio, poi può passare ad altro. Esistono edizioni della Bibbia che danno risalto tipografico ai passi più importanti o che riportano soltanto questi, come fossero antologie bibliche. Vi sono anche edizioni del Vangelo che agevolano la lettura a chi ha problemi di vista.
La lettura della Bibbia non è soltanto un impegno religioso, ma un’opportunità culturale. Conoscendola, conosciamo meglio noi stessi, che le siamo debitori enormi: modo di pensare, tradizioni e usanze, arti figurative, letteratura e musica si comprendono meglio se abbiamo almeno una qualche infarinatura biblica. E’ una tristezza che certi governi europei si affannino a marginalizzare l’insegnamento religioso dalle scuole pubbliche, perché lo reputano ideologicamente impostato e dunque in qualche modo coercitivo.
Bisogna poi stare attenti a non cadere in due opposte trappole.
PRIMA TRAPPOLA. Esiste una certa religiosità che definisco arrogante. E’ tipica di quei personaggi che passano da una religione all’altra con la stessa disinvoltura con cui l’Italia sciaguratamente cambia i governi. Dopo ogni svolta religiosa asseriscono di conoscere perfettamente il testo di riferimento. E se questo “turismo religioso” avviene fra le varie confessioni cristiane, asseriscono di conoscere perfettamente la Bibbia e, siccome la conoscono perfettamente, sciorinano sentenze sulla religiosità altrui. Ma chi può dire di conoscerla perfettamente? Lessi su una rivista un’ingenuità colossale. Un tizio sosteneva di “avere studiato a fondo tutte le religioni”, quanto bastava per non salvarne neanche una! Come si possono studiare “a fondo” tutte le religioni ?
Il primo requisito per poter dire di conoscere “perfettamente” la Bibbia è almeno di poterla leggere nelle lingue originali, e fa già caldo. Poi non basta conoscerne il testo, bisogna anche saperlo interpretare, pena cantonate catastrofiche. La lettura seria della Bibbia comporta un arduo transfert culturale: da allora a oggi, da là a qui. Dire di conoscerla perfettamente solo perché la si è letta, è come dire che si conosce perfettamente il Museo Egizio di Torino, solo perché lo si è visitato in una gita scolastica fatta all’elementari.
Ma il “turista religioso” trincia volentieri sentenze soprattutto sulla religione che ha appena lasciato, facendo figure a dir poco pietose. Esempio: le statue dei santi che ci sono in chiesa sono idoli e la Bibbia vieta il culto agli idoli. E’ vero che la Bibbia vieta ripetutamente il culto agli idoli. Ma le statue non sono idoli. Chi va ad accendere una candela a un santo non è così gonzo da credere che quel santo sia Dio e tanto meno che lo sia la statua di quel santo. Che talora il culto ai Santi possa comportare devianze religiose, lo posso anche ammettere: ho visto una casa tappezzata di santi, ma senza neppure un crocifisso. Ma da qui all’idolatria ne corre. Andando avanti di questo passo il turista religioso arriva a dire che il Crocifisso è un’immagine inventata per impietosire. Manca poco che non si possa tenere nel portafoglio neppure la fotografia di propria madre, come fanno taluni, perché è un ricordo strappa-lacrime!
Gli antichi romani avrebbero demolito questa sicumera col detto sutor, ne supra caligam (= ciabattino, occupati solo di scarpe).
SECONDA TRAPPOLA. Quella che abbiamo visto adesso è la trappola arrogante, ora vediamo la trappola patetica. Quella in cui incappa chi, per giustificare la sua non voglia di leggere la Bibbia, geme: «A me basta una fede come quella di mia madre». E’ vietato avere una fede migliore di quella materna? Anche i discepoli di Gesù avevano fede e madre, però hanno detto: «Signore, accresci in noi la fede» (Lc 17,5).
Adesso lasciamo stare le trappole e torniamo al punto di partenza: leggere la Bibbia. Limitiamoci, per semplificare, alla sola lettura dei Vangeli. Sono una proposta di fede. Solo dopo averli letti si può decidere seriamente e consapevolmente se credere o non credere. Anche il “non credere” merita rispetto, se non è una sparata giovanile come quella di un ragazzo che mi si dichiarava ateo. Gli chiesi: «Quante volte hai letto il Vangelo?». Risposta «Mai!». Mia conclusione: «E allora leggilo, poi diventa ateo!».
Intendiamoci: l’informazione diligente e corretta è doverosa verso le scelte fondamentali della vita, come credere o non credere, professare una religione o farne a meno. Non sono certo obbligato a leggermi tutto l’elenco telefonico per decidere se comperare o non comperare il telefono!