Eleganza sacramentale

 
 

a cura di Mons. Alberto Albertazzi

alberipazzi@gmail.com

L’eleganza è un insieme di ingredienti che adesso voglio censire alla rinfusa: estetica, semplicità, proporzione, opportunità, senso della misura, eccetera. L’eleganza, se è vera eleganza, non dà mai fastidio. Il contrario di eleganza è ineleganza. Eleganza e ineleganza si possono trovare un po’ in tutte le cose, non soltanto nell’abbigliamento. Ho voglia di occhieggiare nei sacramenti a caccia di fattori di eleganza e ineleganza, ma prima è necessaria una distinzione. Parleremo infatti di eleganza/ineleganza intrinseca al rito oppure estrinseca: la prima si strizza dal montaggio rituale, la seconda dalla cornice comportamentale che vi gira intorno.

E allora cominciamo partendo dal battesimo che, se conferito alla san Giovanni Battista, è di una suprema eleganza rusticana. Elegantissimo per la sua assoluta e scarna semplicità: il battezzatore, il battezzato e l’acqua battesimale. Successivamente il rito del battesimo è diventato obeso, caricandosi di incursioni accessorie sul battezzando che in genere dalle nostre parti è un infante: segno di croce sulla fronte, unzione prima e unzione dopo, veste candida e consegna del cero acceso ai genitori o padrini. Questa catena di montaggio rituale mi pare che vada a scapito del segno essenziale che è l’infusione dell’acqua sulla testa dell’interessato. Quindi a proposito del battesimo mi permetterei di parlare di ineleganza intrinseca. Era sperato uno sfrondamento, ma finora non s’è visto niente.

La cresima è un bel rito. Nei suoi elementi strutturali troviamo la rinnovazione delle promesse battesimali, onde si chiama pure sacramento della confermazione, in quanto il cresimato conferma impegni da altri presi per lui, non essendo al momento del battesimo in grado di intendere e volere (1), se ricevuto in età da biberon. C’è poi una scintillante preghiera perché lo Spirito Santo plani benevolmente sul cresimando, facendo funzionare i suoi sette doni. E finalmente il momento propriamente sacramentale consistente nella crismazione, accompagnata da una formula rapida ed essenziale (2). Dunque si tratta di un sacramento di somma eleganza intrinseca. Le eventuali ineleganze sono estrinseche al rito, da imputarsi prevalentemente ai contorni parental-familiari, fra i quali non raramente si intrufolano dei marziani privi della minima educazione chiesastica.

Sulla messa non è il caso che mi soffermi per visitarne l’anatomia in quanto la suppongo a tutti nota. La trovo comunque di suprema eleganza nel profilo rituale, ma può essere massacrata da vari fattori intriseci al rito stesso. Esempio: modo sciatto e veloce di leggere da parte del celebrante, oppure modo eccessivamente declamatorio e sbraitante; lettori impreparati, altare talmente pieno di carabattole da sembrare un banchetto del mercato.

Fin qui abbiamo visitato i sacramenti dai quali tutti o quasi passano. Ora vediamo i sacramenti un po’ in ribasso in fatto di utenza. Partiamo dal matrimonio. Siccome si è scoperto che si può figliare anche senza il supporto del sacramento, oggi ci si sposa molto meno. Il rito nella sua struttura è semplicissimo ed elegante. Eccone gli elementi: un dialogo fra il sacerdote e i contraenti per accertarne la serietà di intenzioni; lo scambio del consenso fra i due; benedizione e consegna reciproca degli anelli; magnanima preghiera di benedizione sugli sposi. Tutto ciò solitamente nel quadro della messa, subito dopo l’omelia. I libri liturgici ufficiali non menzionano il lancio del riso all’uscita dalla chiesa, a delizia di chi poi lo deve raccogliere. Eventuali ineleganze sono da imputare non al rito ma a ricorrenti scalmane fotografiche.

E adesso vediamo con malinconia il sacramento dell’ordine sacro: con malinconia – ho detto – perché oggi purtroppo è il sacramento meno praticato. Ma lasciamo da parte gli stati d’animo e vediamone la struttura che si sventaglia su tre livelli discendenti o ascendenti (dipende da dove si parte), organizzati sostanzialmente sotto lo stesso profilo rituale, da percorrersi obbligatoriamente nel quadro della messa. Eccolo: dialogo tra il vescovo ordinante e l’ordinando; il canto delle litanie dei santi che planano sull’interessato lungo e tirato sul pavimento; l’imposizione delle mani episcopali sulla di lui testa; preghiera di ordinazione; per vescovo e presbitero unzioni in differenziate località, vestizione degli abiti liturgici del rispettivo grado di ordinazione (episcopato, presbiterato, diaconato); consegna dell’attrezzatura per esercitare l’ordine ricevuto: libro dei Vangeli al diacono, calice e patena al presbitero; anello, mitria e pastorale, di nuovo libro dei Vangeli al vescovo. Il dialogo preliminare varia in ragione del rispettivo grado sacramentale, così come la preghiera di ordinazione. Il tutto lo direi elegante e lo trovo costruito con una logica convincente. Alcuni gesti, come l’imposizione delle mani, sono di origine biblica controllata e garantita. Forse un tantino tronfia l’ordinazione del vescovo, che ha parvenza di rito d’incoronazione imperialregale. Risente ancora di una sua remota culla di transizione: nel Pontificale Romano-Germanico del X secolo, troviamo infatti il rito di ordinazione episcopale, non insieme con l’ordinazione di presbiteri e diaconi, ma intrufolato fra i riti di corte: erano i tempi. Ai nostri giorni i riti di ordinazione e insediamento episcopale mi sembrano un po’ sovradimensionati rispetto a una chiesa in affanno, che forse dovrebbe evitare ogni forma di apoteosi. I vescovi infatti, almeno dalle nostre parti, sono destinati a essere dei colonnelli senza truppa, salve inversione di tendenza in campo vocazionale, di cui peraltro non vedo i sintomi.

Il sacramento dell’unzione degli infermi è elegante, se ne rispetta lo statuto biblico (3). La struttura è semplicissima: imposizione delle mani (4) sul malato, unzione sulla fronte e nelle mani, accompagnata dalla formula sacramentale. Lo statuto biblico suppone che il malato sia a letto e che il presbitero (5) si rechi da lui. Dunque è un sacramento che resta elegante se celebrato in intimità: casa del degente, casa di riposo, o alla messa in piccola assemblea feriale. Mi sembrano ineleganti le magne unzioni che si fanno in piazzate liturgiche, con i malati, o presunti tali, in fila e ridarelli (6), che vanno a ricevere l’unzione con andatura più da bersaglieri che da pensionati. Mi pare che ciò snaturi il sacramento: per riceverlo correttamente non è sufficiente essere ammalati, ma bisogna anche sentirsi ammalati, senza peraltro essere malati immaginari.

E ci resta la confessione, nel regime attuale il più intimo e occulto di tutti i sacramenti. Basta essere in due: il penitente e il confessore. La successione dei fatti dovrebbe esserci nota: accoglienza del penitente, accusa dei peccati e richiesta di perdono, imposizione della penitenza (7), assoluzione. La paternale da parte del confessore è bene che ci sia, ma non è elemento costitutivo del sacramento. Il quale ha una sua eleganza intima, «con occhi incerti fra il sorriso e il pianto» (8): pianto sui peccati commessi, sorriso per l’ottenuto perdono. E’ dunque più un’eleganza di cuore che di atteggiamenti esteriori. Ma si riesce a spettacolarizzare anche questo, come s’è visto su un quotidiano (9) ove in prima pagina campeggia una fotografia dell’attuale papa inginocchiato davanti a un confessionale in ruolo di penitente, con un rombante proclama in titolo “Anche Francesco si inginocchia per confessarsi”. Mi chiedo cosa ci sia di così strepitoso (10), come se il papa, solo perché è papa, ne potesse fare a meno! Proprio vero che oggi se non si spettacolarizza tutto, sembra di non avere combinato niente!

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1 Peccato che a cresima ricevuta il 90% dei cresimati in chiesa non si faccia più vedere.
2 “Ricevi il sigillo dello Spirito Santo che ti è dato in dono”.
3 Lo troviamo nella lettera di Giacomo 5,14.
4 Gesto di origine biblica, munito di vari significati: ordinazione per l’appunto (At 6,6); generica trasmissione di poteri (Dt 34,9); azione terapeutica (Mc 8,22-25).
5 In epoca carolingia (VIII-IX secolo) pare che potesse darlo anche il diacono.
6 Nulla di inventato, cose che ho visto.
7 Che di solito fa morir dal ridere.
8 CARDUCCI, Traversando la Maremma toscana (e dagliela).
9 Avvenire, 18.03.2017
10 Dante, direttamente o indirettamente, ficca all’inferno addirittura tre papi: Nicolò III, Bonifacio VIII, Clemente V (Inferno XIX 52-84).
11 Ma fa un po’ Centro Sportivo Italiano. Bisogna pensarci ancora un momentino …