Figlio del cielo, figlio della terra

 
 

Così s’intitola un recente libro formato “Topolino”, a detta dell’Autore, ma forse anche più piccolo. Di chi si tratti si capisce al volo: soltanto un essere vivente può avere in simultanea una paternità eterea e una maternità terranea. Le cose funzionano, come da tradizione, anche grammaticalmente, perché la madre è la terra al femminile, mentre il padre è il cielo
al maschile … senza sofisticazioni Zan.
Si tratta di un libretto di 282 pagine, di ottima leggibilità grafica e di appagante lettura contenutistica, attribuendo all’aggettivo “appagante” un’apertura 360 gradi. Si capisce al volo, anche solo dal titolo, che il libretto in questione parla di Gesù Cristo, anzi ne parla Maria sua Madre rispettosamente assunta come voce narrante. Lo possiamo pertanto graziosamente considerare un “Vangelo secondo Maria”.
La trama è sostanzialmente quella dei Vangeli canonici tradizionali, trattati dall’Autore un po’ come quel famoso antico manoscritto che aveva sott’occhio fantasiosamente Manzoni scrivendo il suo noto capolavoro nuziale. L’autore de I promessi sposi, avrebbe romanzato artisticamente una scialba cronaca di vicende prematrimoniali di due non fortunatissimi giovani vissuti in epoca ben anteriore alla sua. Chi ha scritto Figlio del cielo e Figlio della Terra sembra avere utilizzato la stessa tattica, che ora levighiamo con doverose differenze.

Probabilmente il manoscritto di Manzoni è una sua finzione letteraria. Non lo sono invece i quattro Vangeli assunti dal Nostro come sottofondo narrativo; e tantomeno li possiamo aggettivare scialbi, riconoscendoli invece essenziali nella narrazione, senza concessioni a particolari inutili e redatti con una sovrana impassibilità narrativa.
Il Nostro soddisfa legittime curiosità del lettore, con una prosa coinvolgente e scintillante, che non sdegna particolari narrativi vivacizzanti il racconto. Un esempio ad apertura di libro “Giuseppe impietrì e tacque. Non fece domande. Si chiuse in sé, opponendo un’inutile difesa contro l’assedio che l’aveva già sconfitto”. Annotazioni così circostanziate nei Vangeli classici ce le sogniamo! Né mancano gradevoli civetterie ambientali, inimmaginabili nell’austera prosa evangelica, tipo questa “La luna piena tramontava, velata da un alone leggero … L’aurora dipingeva d’oro e d’azzurro il cielo, le stelle si spegnevano una a una. Dal profilo dei colli scendeva una cascata di luce che lentamente inondava case, pascoli e radure”.
I capitoli sono brevi, di poche pagine, ma sono ben 51 più la prefazione. I titoli sono invitanti, ne sciorino qualcuno a casaccio: Me, non lui; Le urla di Rachele; Angoscia; Il vino di Cana; Polvere; Pane in abbondanza …
E sotto ogni titolo, prima di intraprendere la narrazione, a mo’ di aperitivo letterario, un breve passo di letteratura autorevole, per lo più biblica, con predilezione per il Cantico dei Cantici, senza però snobbare Iacopone da Todi e altri.
I dialoghi tra i personaggi brillano sovente di odierna quotidianità, come il seguente: “Pace a te, Levi. Hai preso tutto?”. “Hai preso tutto? Accidenti, Giuda, tu e la tua mania di precisione! Certo che ho preso tutto: capirai, col capitale che mi hanno permesso di prendere … E allora, andiamo?”.
Troviamo dunque molte cose non scritte nei Vangeli, inventate di sana pianta, ma verosimili e in ogni caso bene organizzate nella logica della narrazione, come ad esempio il capitolo Sospetti, circolanti fra i cittadini di Nazaret che notavano in Maria evidenti segni di avanzata maternità; a partire da Giuseppe, più che mai imbarazzato, tanto che “lo stordimento gli gelava il cuore e sigillava le labbra”.
Nel capitolo Angoscia è descritta l’affannosa ricerca di Gesù dodicenne, finalmente ritrovato in dotta discussione con l’intellighenzia locale. L’Autore con abili accorgimenti elimina proprio nelle parole di Maria l’eventuale sospetto del lettore che i genitori siano stati un po’ irresponsabili: “Gesù, che cos’hai fatto, perché sei rimasto qui? Eravamo sicuri che tu fossi nella carovana, ci siamo accorti tardi che non c’eri. Non ci hai detto nulla, Gesù! Non hai pensato a noi, a tuo padre, a me?”. L’accoratezza mariana è delicatamente espressa con una gentile maternità in stile dantesco (Purgatorio XV 84-90), e senza lesinare comprensibili attenuanti.
Nel procedere della narrazione traspare occasionalmente l’occhiuta vigilanza di Maria, presente lei pure, ad esempio, alla moltiplicazione dei pani e al meteo- miracolo della tempesta sedata (pp. 192- 201). E’ sufficiente che i Vangeli non la menzionino per concludere che davvero non ci fosse? L’Autore, con muliebre delicatezza, la intruppa nella combriccola dei dodici: è un’espediente narrativo. Se si voleva che la voce narrante fosse quella di Maria, doveva per forza esserci!

Sorprende che in una narrazione così vivacemente dettagliata non sia descritto il “processo penale” a carico di Gesù, che si sarebbe prestato ad arguzie altrove abilmente gestite dall’Autore. La risurrezione è descritta con una ermetica sintomatologia indiziale, coronata da una delicata citazione del Cantico dei Cantici. E’ una prova di quanto sia ardua la descrizione del soprannaturale.
Ovvio che di un Protagonista che va in onda come Figlio del cielo e Figlio della terra, per noi terrestri è più facile gestirlo come Figlio della seconda. Infatti l’umanità di Cristo è descritta con dettagli nostrani che lo mettono alla nostra portata: personalità, temperamento; ma anche prestanza fisica, stanchezza, sudorazioni, appetito. Appare, in perfetta affinità evangelica, Figlio del cielo nella sua potenza miracolistica e anche nella spiazzante logica delle sue affermazioni che presuppongo meningi ben differenti dalle nostre, terra terra e pacchianotte. Il picco della celeste trascendenza del Protagonista lo troviamo nel capitolo Sul monte, ove la Trasfigurazione di Gesù è immaginata e descritta con una scenografia non priva di luminescenze dantesche.
Concludo dicendo che questa piacevolmente obesa narrazione evangelica ha il pregio di farci ancora più apprezzare la denutrita impassibilità della prosa evangelica.
L’Editore è il Messaggero di Padova. E l’Autore? E’ il sacerdote vercellese don Giancarlo Taverna Patron, oggi “felicemente parroco” di Flecchia e Pianceri, tra i monti della Valsessera (Biella), ma ben noto anche alle altre parrocchie che si leggono in epigrafe di questo foglio. Ed è autore anche di altri libri scritti in precedenza.