Frivolezze verbali
a cura di Mons. Alberto Albertazzi
alberipazzi@gmail.com
Talune parole hanno più significati. Esempio: cane denota l’abbaiante, un aggeggio della rivoltella e una costellazione astronomica. E inversamente si danno realtà pluridenominate. Qualche esempio a casaccio: l’indumento che si mette sopra le mutande si può chiamare calzoni e pantaloni; il miagolante si può chiamare gatto e micio; la muggente si può chiamare mucca e vacca; il grugnente si può chiamare porco e maiale. Cipolla dicesi del noto tubero e di altrettanto nota escrescenza del piede in prossimità dell’alluce.
Ora trascino il fenomeno in campo religioso e osservo pluridenominazioni fra i sacramenti. Partiamo dalla confessione, che si può chiamare così, oppure penitenza, oppure riconciliazione. Il nome prescelto dipende dal punto di vista dal quale ci si pone. Confessione è l’atto di spifferare i propri peccati, penitenza denota l’aspetto peraltro molto blandamente punitivo, e riconciliazione connota la pace fatta con Dio. Un sacramento oggi in disuso un tempo si chiamava estrema unzione e oggi si preferisce chiamarlo unzione degli infermi. La messa ha un campionario onomastico assai vario. Partiamo dal nome più scialbo e usitato che è proprio messa. Che significa? Di preciso non si sa. Probabilmente dal verbo latino mittere che significa inviare: nella messa infatti si invia al Padre l’offerta sacrificale del Figlio. Il Nuovo Testamento suggerisce altre denominazioni. Nella letteratura lucana (1) prevale l’etichetta “frazione del pane” (Lc 24,35; At 2,42; 20,7). Paolo preferisce “cena del Signore” (1 Cor 11,20. 33). L’appropriato termine eucaristia non lo troviamo nel Nuovo Testamento, ma è stato lanciato con discreto successo da sant’Ignazio d’Antiochia († 110) nelle sue lettere (2). C’ è poi il termine liturgia, che noi usiamo globalmente per il culto cristiano, ma che viene limitato alla messa nel linguaggio della chiese orientali. La sua provenienza può essere individuata negli Atti degli apostoli (13,2). Andiamo avanti.
Anche la cresima è bi-denominata, perché oggi forse la si preferisce chiamare confermazione. E’ ancora questione di punti di vista: cresima denota l’unzione (3), mentre confermazione rinvia melanconicamente agli impegni che ne derivano (o dovrebbero derivarne …).
Anche nel lessico religioso, come in molti altri, si può far volare la fantasia. Ad esempio qualche anno fa il dirigente di una scuola multietnica, per neutralizzare ogni riferimento religioso al natale, propose di chiamarlo “festa d’inverno”.
Vi sono anche alcuni sacramenti che meriterebbero nomi di fantasia, peraltro rispettosi, ma che ne attenuino un po’ l’impatto religioso per meglio allinearli alle odierne usanze. Ad esempio la prima comunione. L’ordinale “prima” presuppone che ne seguano altre, il che capita molto raramente. Talora mi chiedo se la prima comunione non sia un anticipatissimo Viatico! La si potrebbe laicizzare al massimo in “festa della fanciullezza”, nella logica di festa d’inverno per il natale. Analogamente si può ragionare per la cresima, rottamandone il titolo di “confermazione” e sostituendolo con festa del congedo o della diserzione. Oppure ancora, festa dell’addio alle armi, se una volta i cresimati erano detti “soldati di Gesù Cristo”! O laicizzarla in “festa della preadolescenza”. Non ricordo d’aver visto una diserzione così massiccia e immediata dalla chiesa come quella che ci stanno offrendo i comunicati e cresimati di quest’anno! Che siano tutti in villeggiatura? Un apprezzamento comunque ai pochissimi superstiti.
FRIVOLEZZE MONTANE
In genere i nobili hanno nomi altisonanti. A Vogogna Ossola, paese di origine degli Albertazzi, era riverita certa madama “Clara Lossetti Mandelli d’Inveruno, Airago e Furate”. Non so come questo treno onomastico sarebbe potuto stare negli striminziti spazi degli odierni moduli burocratici! Neppure la nobiltà russa scherzava: nel Kremlino degli zar esisteva certo Vladimiro Gustovalov Vanjuska, conte di Petrox (4). A Ceppo Morelli (Val d’Ossola), nel secolo XIV o giù di lì, rispondeva all’appello certo Albertaccio di Crollamonte. Albertaccio è un po’ canagliesco, ma il predicato nobiliare “di Crollamonte” è rombante e minaccioso. La gente comune si accontenta di nomi di minor sonorità: i vari Bianchi, Rossi, Ferri, Ferraris, Ferraro, Ferrero, Ferrarotti. Tutti nomi a base di ferro, metallo certamente solido ma poco nobile. Oppure nomi con pittoresche assonanze, come i vari Scazzoso e Culasso, e altri di pari repertorio (5).
Anche tra i monti si riscontra un doppio livello onomastico: nomi nobili e nomi tapini. Ad esempio il nostro Monte Barone (m 2044), proprio perché barone, porta un nome nobile (6), seppure di bassa nobiltà, peraltro proporzionato alla sua modica altezza. Tornando in Val d’Ossola, ci si imbatte nel regale Monte Leone (m 3552), insignito del blasone nobiliare del re della foresta. Ma in Val d’Ossola ancora sorge pure un monte un po’ avvinazzato recante il nome da bettola di Straciugo (m 2712), cui l’associazione enologica locale propose di sostituire la g con la c raddoppiata, ottenendo Stra-ciucco, onde renderlo più pittoresco e meglio inserito in una comunità montana non particolarmente sobria. Per tornare al nostro sussiegoso Monte Barone, lo reputo un po’ infastidito per la ravvicinata presenza di due dignitari dal nome tapino e non propriamente confacente. Mi riferisco al Cornabecco (m 1576), seppure impietosito dal gemebondo alternativo di Gemevola; e al Pissavacca (m 1659), ancora più poetico! Il primo è un nome bucolico, soprattutto se il –becco lo intendiamo come il maschio della capra (cravùn), notoriamente arci-cornuto. Lo possiamo però riscattare pensandolo come Capricorno, con nobile installazione non solo montana ma anche zodiacale. Più problematica è la nobilitazione di Pissavacca, un po’ “brutìn” (7) e di intonazione urologico-veterinaria. Né ci sarebbe gran vantaggio se lo si intalianizzasse in “Orinamucca”. Sarebbe però proponibile l’inversione in “Muccorina”, con vezzoso diminutivo che ne lascia in penombra l’etimologia. Oppure, se si volesse conservare qualcosa del nome primitivo, non suonerebbe male neppure “Vaccorina”, in blanda sintonia con Bettolina: un passo del Monte Rosa, dal nome alquanto invitante, adducente al rifugio Quintino Sella (m. 3585). E va be’! Qualche scempiaggine estiva mi sembra tollerabile …
DEVIAZIONE GIOVANNEA
… ma ora torniamo seri. Spero che tutti i praticanti si siano accorti che quest’anno, domenica dopo domenica, la trama evangelica è costituita dal Vangelo di Marco. Ma in agosto, quest’anno già a partire dall’ultima domenica di luglio, si devia su Giovanni. Perché? Probabilmente perché il Vangelo di Marco, essendo il più breve dei quattro, non offre materiale sufficiente per alimentare tutte le domeniche dell’anno, salvo frazionandolo eccessivamente. Allora interviene il collega Giovanni a prestargli un po’ del suo materiale. Giunti domenica 29 luglio alla moltiplicazione dei pani, la si legge in Giovanni (6,1-15), e vi si aggiunge, a domenicali puntate agostane, il frastornante sermone del pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,26-71), tenuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao, con esito discriminante fra i discepoli e la folla (Gv 6,66-69).
1 Vangelo di Luca e Atti degli apostoli.
2 Agli Efesini 13,1; Ai Filadelfesi 4,1.
3 Dal greco chrio = ungere.
4 Così in Topolino e il fantasma del Monte C-Annibale (ottobre-dicembre 1951). Ma è notizia di dubbia storicità! In realtà era Gambadilegno che si spacciava per tale
5 Il primo mi pare di provenienza meridionale, il secondo invece è ricorrente nel cuneese.
6 Mi si è detto però che la nobiltà non centra: barone sarebbe la nobilitazione del dialettale baron, col significato di mucchio, che ne farebbe un enorme mucchio di pietre. Come del resto ogni altro monte. 7 Bruttino. Così un professore veneto qualificò il verbo greco che significa disobbedire, ma che in italiano fa venire in mente altre cose …