Guardando alla loggia della basilica di San Pietro

 
 

Una breve riflessione del nostro Arcivescovo sull’elezione del nuovo Papa Francesco.

Tre pensieri, o più precisamente tre passaggi ho avvertito dentro di me fissando lo sguardo sul grande rettangolo luminoso della facciata di San Pietro.
Il primo passaggio, fu dalla delusione alla gioia, forse in un minuto.
Infatti in questi giorni vigiliari del conclave andavo pensando con simpatia ad un Papa italiano o europeo, per una ragione precisa:
la Chiesa europea e, in particolare quella italiana, stanno vivendo l’ora della prova, in un contesto culturale gravemente secolarizzato.
La storia europea che affonda le sue origini nei secoli della fede cristiana è gravemente malata, inquinata da una filosofia dell’immanenza, con tutte le patologie connesse: il secolarismo, il relativismo etico, il soggettivismo esasperato, l’individualismo dominante e, naturalmente l’indifferenza nei confronti di Dio. Insomma, questa Europa avrebbe bisogno, pensavo, di un Papa del nostro continente o addirittura italiano. Un Papa che conoscesse bene questa cultura per affrontare le sfide della nuova evangelizzazione; ed invece dalla loggia della basilica di san Pietro discende il nome di un Papa argentino: Jorge Mario Bergoglio. Delusione dentro di me. Delusione come nell’ottobre del 1958: si aspettava un Papa straniero, poliglotta; ed invece si affacciò papa Roncalli, un “buon parroco di campagna”, fu il primo commento; ed invece fu il profeta dei tempi nuovi.
Così dopo le prime parole di papa Francesco, la delusione si trasformò in gioia: ancora una volta ho sperimentato il “contro piede” dello Spirito Santo; ancora una volta il Papa giusto per questo tempo.

Anche il secondo pensiero ha interpretato l’evento come una sorta di passaggio, quello del testimone.
Tutti ricordiamo le parole espresse da Benedetto XVI nel suo testamento spirituale. Egli rinunciava al ministero attivo del primato petrino, passando da una vita attiva alla preghiera. Questa parola sorprese molti ed è ricorrente nei suoi discorsi, quasi ad esprimere il suo desiderio di vivere gli ultimi anni del suo pellegrinaggio terreno, in una vita contemplativa immersa nel mistero di Dio per continuare a servire la Chiesa e il mondo.
Il nuovo papa Francesco sembra raccogliere lo stesso testimone, anzi il passaggio del testimone; e nelle sue prime parole dalla loggia, la parola più ripetuta è la preghiera, l’invito a pregare con lui e per lui con la stessa preghiera di Gesù, il Padre nostro.
Il passaggio del testimone significa la consegna di un primato nel ministero, quello della preghiera.

Ma davanti alla loggia, ascoltando il nome di Francesco per il nuovo Papa, mi si è fatto chiaro un terzo passaggio: quello da una Chiesa aggredita e in condizioni conflittuali nel mondo, ad una Chiesa sempre più evangelica.
Il nuovo Pontefice, infatti, porta un nome che sembra abbozzare un programma. Francesco è un testimone che richiama l’immagine di una Chiesa più povera, più sobria, più semplice. Ha colpito tutti, infatti, questa figura di Papa dal linguaggio popolare, che chiede la benedizione insieme alla straripante piazza San Pietro, piegandosi davanti a Dio e alla gente, quasi ad esprimere la consapevolezza del bisogno di aiuto dall’alto per un ministero che interroghi la Chiesa e il mondo. Le cose dette e le immagini di un uomo semplice davanti alla piazza indicano chiaramente una direzione precisa per una Chiesa dal volto nuovo. Francesco, dunque, sembra favorire o suggerire un sogno: quello di una Chiesa ancora capace di promettere per il mondo una rinnovata primavera, nonostante le sue fatiche che i media non mancano di enfatizzare secondo una logica compromessa con la menzogna e con lo spirito “anti”.

Ieri, qualcuno mi ha parlato, con grave sofferenza, di una “piazza pulita” aggressiva, ottusa e incapace di capire il mistero della Chiesa nella storia. Questa sera ho visto io stesso una “piazza festosa”, con i volti della gente che esprimevano la gioia di essere cristiani, ed insieme con il vivissimo desiderio di conoscere il nuovo timoniere della “barca di Pietro”, con il nome di Francesco, al largo nel mare della storia.

Naturalmente i tre passaggi non possono durare una sola sera, ma ci aiutano ad avere speranza guardando al futuro e immergendola nella fede e nella preghiera per il Papa, per la Chiesa e per tutti noi. Anche il ricordo di Maria, la madre, ci ha fatto sentire in una Chiesa amica.
Quando la donna di Nazareth è di casa, la casa diventa famiglia. Vince l’amore sull’estraneità.
Non è utopico allora il credere che si possa ancora pensare ad una bella notizia e immaginare una nuova mattina di Pentecoste per le vie della Gerusalemme terrena.