I Vescovi piemontesi a Roma per la Visita ad limina

 
 

Anche il vecchio latino rientra nel circuito dei media, nonostante l’egemonia della lingua l’inglese che ha sostituito l’antica koiné. Da alcune settimane, infatti si parla di visita ad limina, parola antica per indicare la visita dei Vescovi a Roma per incontrare Pietro.

Nei primi secoli della storia della Chiesa le tombe degli apostoli Pietro e Paolo furono definite limina apostolorum, la soglia degli apostoli. L’obbligo dei pellegrinaggi a Roma, fu imposto dal papa San Zaccaria nel 743. Recentemente il papa Giovanni Paolo II, nell’assemblea straordinaria dei Vescovi italiani del 1986 disse di attribuire grande importanza alle visite ad limina: “Esse costituiscono un’occasione privilegiata di comunione pastorale; il dialogo pastorale con ciascuno di voi mi consente di partecipare alle ansie e alle speranze che si vivono nelle Chiese da voi guidate, in atteggiamento di ascolto per i suggerimenti dello Spirito”.

E così la prima settimana di maggio è stato il turno dei Vescovi piemontesi, giunti a Roma non senza il desiderio di incontrare e di conoscere il Papa che ha sorpreso il mondo.

Il programma della visita fu intenso; siamo passati da una Congregazione all’altra per condividere i problemi e le scelte pastorali, già precedentemente presentati da una puntuale e dettagliata relazione sulla vita di ogni Chiesa particolare. La missione di annunciare il Vangelo oggi chiede attenzione, discernimento, capacità di aprire sentieri nuovi. La visita ad limina non è una prassi formale; la fedeltà al Vangelo chiede ai pastori l’intelligenza della storia; il protagonismo dello Spirito deve fare i conti con le sfide dei tempi; il confronto con il ministero petrino non appartiene al calendario delle visite di cortesia; è un incontro straordinariamente ricco di grazia.

Sono due i messaggi che mi porto nel cuore dopo l’incontro con papa Francesco di venerdì 10 maggio: anzitutto il tratto umano di questo Papa. Ho toccato con mano la verità di quell’immagine apparsa alla loggia vaticana la sera del 13 marzo. Un Papa tutto bontà, semplicità, immediatezza, improntata a cordiale accoglienza. Dopo il saluto e la fotografia di rito, ci ha fatti sedere in cerchio come in famiglia, per guardare insieme sull’orizzonte del mondo, per scambiare speranze e preoccupazioni per la navigazione della Chiesa sul mare agitato della storia. Il primo messaggio, dunque, mi viene trasmesso dal volto, dai gesti, dalla parola di questo Papa che ci ha chiesto più volte scusa per i ritardi negli orari a causa delle udienze precedenti.

Il secondo messaggio è andato nella direzione dei gravi problemi della Chiesa nel mondo, a partire dalla famiglia, ferita dalla prassi diffusa delle convivenze, delle separazioni, e soprattutto, dal “disegno diabolico delle unioni omosessuali” sostenute dalla massoneria americana.

Nella conversazione che si è snodata, il Papa ha raccomandato di costruire una Chiesa vicina alla gente, solidale con i poveri, conservando quella popolarità già riconosciuta come ricchezza della Chiesa italiana. Il Papa ha poi sollecitato l’importanza di un lavoro serio tra i giovani e, in particolare la cura delle vocazioni, che richiede la presenza di preti ricchi di “zelo apostolico”, l’aggettivo è suo; e naturalmente la preghiera e il discernimento per ottenere nuovi operai del Vangelo.

L’incontro con il successore di Pietro è stato breve, ma intenso: quaranta minuti. Ma ancora una volta, siamo tornati nelle nostre Chiese conservando immagini e parole di un Papa scelto dallo Spirito Santo, sempre straordinariamente puntuale sui tempi della storia.

La breve riflessione sui problemi pastorali della Regione è stata presentata, a modo di introduzione, da Enrico Masseroni in qualità di arcivescovo metropolita di Vercelli.

Città del Vaticano, 10 maggio 2013

Carissimo Santo Padre,

anzitutto avverto il desiderio, con i confratelli Vescovi, di esprimerLe il grazie più sincero per questa visita ad limina, percepita dalle nostre Chiese come “Kairòs”, come momento di grazia; anche perché coincide con l’inizio del Suo ministero petrino che ha suscitato un grande entusiasmo e persino una sorta di riconciliazione dei giovani con la Chiesa.

A me è dato di esprimere questo grazie, che viene quotidianamente accompagnato e fortificato dalla preghiera, soprattutto allo Spirito Santo di cui stiamo per celebrare la Pentecoste.

Forse il mio breve intervento si giustifica umilmente anche per il fatto che sono alla soglia dell’età canonica che conclude il ministero episcopale, (25 anni tra la diocesi di Mondovì e la Chiesa di Vercelli).

Non voglio però fare la sintesi dei problemi pastorali incontrati; ma solo evocare un indice di essi, per ascoltare il Suo paterno e prezioso consiglio, per dare speranza al nostro futuro.

  1. Anzitutto mi sembra doveroso dare testimonianza del clima umano e spirituale sperimentato nel cammino pastorale di questi anni nella Conferenza Episcopale Piemontese, riassumibile in tre parole: comunione, corresponsabilità e passione per l’annuncio del Vangelo. Il tutto in un clima di sincera e cordiale fraternità.

Il lavoro della Conferenza regionale ha valorizzato soprattutto l’esperienza delle nostre Chiese attraverso le commissioni, costituite attorno ai vari ambiti della pastorale: catechesi, liturgia, carità, vocazioni e altre. Non sono mancati alcuni interventi collegiali su problemi di particolare urgenza ecclesiale e sociale. Vorrei pertanto richiamare quegli ambiti della vita ecclesiale sui quali siamo frequentemente ritornati con preoccupazione.

  1. Li accenno:

  • Il problema delle famiglie: con le unioni irregolari in numero crescente, con l’aumento delle convivenze, molte volte intese come sostitutive del tradizionale fidanzamento. A fronte di questo fenomeno c’è il calo di coscienza della differenza cristiana del matrimonio sacramento.

  • Il problema giovanile, con il caso serio del post-cresima: il giorno del sacramento della maturità cristiana, invece di costituire una tappa della vita di fede più responsabile, è la festa di addio alla comunità.

I giovani pertanto costituiscono una minoranza nella comunità, già per se stessa in minoranza culturale e numerica. Nelle assemblee liturgiche della domenica – giorno del Signore – prevale il colore dei capelli grigi.

Non è però senza frutto l’impegno delle nostre parrocchie, soprattutto laddove l’oratorio diventa il simbolo di una comunione e collaborazione tra famiglia, animatori-educatori e comunità con il loro sacerdote.

  • Il problema delle vocazioni, sia sacerdotali che alla vita consacrata-apostolica, soprattutto al femminile.

Sono molte le cause di questa crisi. Penso che sia condivisibile quanto è stato scritto nel documento conclusivo del Congresso europeo sulle vocazioni tenuto a Roma nel 1997. Nella cultura occidentale è diffusa l’antropologia dell’ “uomo senza vocazione”. La causa della crisi delle vocazioni al plurale è la mancanza di coscienza della vocazione al singolare. La vita ha smarrito il suo senso e si nutre della cultura del vuoto.

Tuttavia nelle nostre Chiese non mancano timidi segnali di speranza. In questi anni la pastorale vocazionale si è intensificata, soprattutto in tre direzioni: la preghiera, accogliendo l’imperativo di Gesù: “Rogate Dominum messis” (Mt 9). E’ in crescita il monastero invisibile, con l’adorazione eucaristica nelle parrocchie; la direzione spirituale o accompagnamento spirituale; la collaborazione tra pastorale giovanile, familiare e vocazionale.

  • L’attuale convergenza e collaborazione tra le Chiese è l’impegno educativo, nella direzione della evangelizzazione, dell’iniziazione cristiana. Alle spalle di questa scelta c’è la riflessione dei vescovi, dei sacerdoti e dei laici nei consigli di partecipazione delle nostre diocesi, un convegno regionale, nonché l’orientamento della Chiesa italiana per questo decennio di fronte alla sfida educativa: “Educare alla vita buona del Vangelo”.

  1. Le nostre Chiese sono seriamente sensibili di fronte alla crisi sociale ed economica della nostra regione. E’ preoccupante soprattutto il fenomeno della disoccupazione giovanile. Purtroppo il Piemonte ha dei tristi primati; anzi, il primato in Piemonte di questa condizione sociale appartiene dolorosamente a Vercelli. In tre mesi di questo anno in corso sul territorio hanno chiuso quasi 4mila aziende.

Le nostre Chiese si stanno prodigando con estremo coraggio: oltre il richiamo per i politici, perché affrontino con realismo i problemi della vita quotidiana della gente, e in particolare il lavoro, le nostre Caritas, sovente senza notizia, si danno da fare per garantire la sopravvivenza dei nuovi poveri (Torino mi pare che dia l’esempio).

La gente guarda con fiducia alla Chiesa, giudicata come una buona samaritana solidale con le persone e le famiglie in grave difficoltà.

  1. Un fenomeno che sta sollecitando e richiede una riflessione puntuale e seria è quello della immigrazione con tutti i problemi connessi, sociali e religiosi. Anche la nostra società sul territorio sta cambiando volto: pone problemi di accoglienza, di relazioni e di evangelizzazione.

Queste parole, immigrazione ed emigrazione, mi richiamano il ricordo di una persona carissima: quella del mio predecessore arcivescovo Albino Mensa: figlio di emigrati, nato a Villa Alicia, in Argentina, provincia di Cordova, il 14 gennaio 1916.

Dopo la morte della mamma, tornò a Pinerolo dove entrò nel seminario diocesano e divenne sacerdote. Nel 1947 accettò di fare ritorno in Argentina, ove si prese cura degli emigrati italiani per dieci anni. Fu anche docente all’Università Cattolica di Buenos Aires e Vicario Generale dell’Arcivescovo Card. Santiago Luis Copello.

Rientrato in Italia, nel 1957, Papa Giovanni XXIII lo elesse Vescovo di Ivrea. Nel 1966 papa Paolo VI lo promosse arcivescovo di Vercelli, dove rimase fino al 1991, dedicandosi con grande passione al rinnovamento della diocesi, secondo gli orientamenti del Concilio Vaticano II, cui aveva partecipato. Sono contento di ricordare questo zelante pastore a Lei, Padre Santo, che viene da Buenos Aires.

Ogni giorno preghiamo per Lei e ci viene spontaneo promettere di accompagnarLa con particolare attenzione nelle prossime giornate di Rio de Janeiro, con i giovani del mondo.

Grazie!

† Enrico Masseroni

Vice-PresidenteConferenza Episcopale Piemontese