II domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

La tradizione ha messo in evidenza tre manifestazioni di Gesù: quella ai Magi, il battesimo ricevuto da Giovanni e, infine, le nozze celebrate a Cana di Galilea che la liturgia odierna ci propone. Uno sposalizio costituisce una situazione in cui la vita e la gioia sembrano sovrabbondare, dove gli sposi sono protagonisti e tutto ruota intorno a loro. Nel racconto giovanneo che oggi leggiamo sembra, però, verificarsi il contrario, poiché i due giovani che si sono uniti in matrimonio rimangono nell’ombra e, fin dalle prime righe del racconto, la frase pronunciata dalla madre di Gesù mette in risalto non l’eccesso e l’esuberanza che caratterizzano le feste, ma la mancanza: “non hanno vino”. Le parole di Maria, forse udite solo dal figlio, creano tuttavia per il lettore un clima di suspense che si aggiunge alla strana assenza dei personaggi principali: come si può celebrare una festa se viene a mancare l’elemento essenziale, quel vino “che allieta il cuore dell’uomo” come recita il Salmo 104? Saranno le parole e le azioni di Gesù ad aiutarci nel risolvere l’enigma anche perché l’evangelista, che ha disinvoltamente bypassato i due protagonisti, ha posto invece lui e sua madre al centro dell’azione. È dunque dalla “mancanza”, segnalata da Maria e impedimento alla piena celebrazione delle nozze, che bisogna partire per cogliere uno dei messaggi presenti nella liturgia odierna, una mancanza che non riguarda prima di tutto la scena nuziale descritta da Giovanni ma ha un significato ben più profondo. La Vergine è la prima ad accorgersi della carenza di vino; l’evangelista ce la presenta come “Madre di Gesù” e, proprio in quanto madre, essa possiede quel tipico colpo d’occhio che le permette di percepire il piccolo dramma in corso; tale dramma, tuttavia, rimanda a qualche cosa ben più complicato e doloroso, in quanto la mancanza non caratterizza soltanto quel breve momento di festa ma è una componente strutturale dell’essere umano, è ciò che ci impedisce di salvarci da soli. Abbiamo bisogno di qualcuno che si prenda cura di noi e ci offra il suo amore e la sua alleanza. Al di là del banchetto di nozze che si sta celebrando, possiamo quindi intravedere la scena del banchetto messianico narrata dai profeti, quella in cui si realizzeranno le promesse e abbonderanno i doni di Dio, in particolare il grano, l’olio e il vino (cf Os 2,24). Maria, seduta accanto a Gesù nella festa di nozze, è la Vergine vigilante che con ansia e desiderio intenso attende il compimento dell’era messianica; ella è anche la madre che per trenta lunghi anni ha custodito nel cuore e meditato il mistero del figlio. Ora sa che è proprio lui la persona a cui rivolgersi per ovviare a quella “mancanza” alla quale solo un Dio fatto uomo è in grado di porre rimedio. La risposta di Gesù, dicono gli esegeti, non dovrebbe essere letta come un rifiuto, ma come una domanda retorica che mette in risalto la comune intenzione sua e della madre. L’assoluta assenza di esitazione da parte di Maria nel rivolgersi ai servi, dicendo loro di comportarsi secondo le indicazioni del figlio, conferma questa interpretazione. Ed ecco che avviene il miracolo; la discrezione e la semplicità con cui esso si verifica mettono ulteriormente in risalto la sovrabbondanza del dono. Finalmente le nozze si possono celebrare, non perché è venuta meno la “mancanza” umana, ma grazie al desiderio di un Dio-sposo, la cui profonda aspirazione è di unirsi a noi e gioire con noi.