II domenica di Natale

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Il Vangelo di oggi ci colloca in un tempo al di fuori del tempo, in un’origine che sta agli inizi di tutto. Qui “era il Verbo”. Tenendo conto del contesto in cui è inserito, l’uso dell’imperfetto non si riferisce indubbiamente a un’esperienza passata ma a un modo di essere continuativo, non limitato alle categorie spazio-temporali che caratterizzano la nostra umanità. Colui che “era” è chiamato “Verbo”, Parola, un termine che rimanda all’idea di comunicazione, al desiderio di rivelarsi. Quella realtà misteriosa evocata dall’espressione “in principio” ora si fa vicina, accessibile, non è più distante e sconosciuta, poiché la parola è rivelazione, è creazione di legami, è dialogo tra esistenze che creano un rapporto. Subito dopo Giovanni precisa che il Verbo di cui si sta parlando era “presso Dio” ed “era Dio”. Fin dall’inizio l’evangelista, quindi, ci annuncia che Dio è colui nel quale è presente un desiderio di comunicazione, relazione e comunione con quella creatura che gli dèi prodotti dalla nostra fantasia trovano insignificante, mentre per Lui, al contrario, è oggetto di un’attenzione speciale. La descrizione del Verbo prosegue grazie all’uso di due termini particolarmente significativi: vita e luce. La vita di cui si parla qui non è naturalmente quella biologica, destinata a terminare, ma è quanto corrisponde ai desideri, agli aneliti più profondi del cuore umano: è pienezza, eternità e, di conseguenza, è qualcosa che l’uomo non può darsi da solo e deve, invece, ricevere da quel Dio che non vuole trattenerla tutta per sé ma, al contrario, è desideroso di donarcela. Questa vita è anche luce per tutti noi e, in quanto tale, dà calore e illumina l’esistenza; è il senso e il criterio interpretativo della realtà proprio come il faro che indica la rotta al marinaio perché possa raggiungere la meta. Questo brano evangelico, all’apparenza così difficile e astratto, presentandoci il mistero del Verbo attraverso questi due termini – luce e vita – diventa così più accessibile. Esso invita a interrogarci sull’orientamento della nostra esistenza e soprattutto a chiederci dove o da chi andiamo per procurarci quella vita che costituisce il nostro più grande desiderio; potremmo così scoprire che l’abbiamo scambiata con il benessere, il successo, la tranquillità, l’immagine, tutte modalità che prima o poi finiranno per deluderci. Le parole di Giovanni, tuttavia, ci rassicurano: esiste un Dio impaziente di soddisfare questo nostro desiderio; lo è stato fin dall’inizio dei tempi, quando ha posto l’albero della vita nel giardino dell’Eden (cf Gen 3,22), e ha continuato a esserlo attraverso l’Alleanza con cui proponeva di scegliere la vita amandolo e osservando i suoi comandamenti (cf Dt 30,15-16). Ora però l’evangelista presenta qualcosa di più, qualcosa di inaudito eppure reale: egli ci manifesta “l’escamotage” di un Dio che non si rassegna di fronte ai nostri cambiamenti di rotta e alla nostra difficoltà a entrare nella vita vera. Il Verbo che si fa carne è proprio questo stratagemma di un Dio-Amore che non si arrende davanti all’ostinazione, alle resistenze, ai rifiuti e sceglie la fragilità della carne, nello stesso modo in cui più tardi sceglierà la debolezza della croce, come uniche modalità per renderci accessibile il dono della vita.