II Domenica di Pasqua Anno C

 
 

don Luciano Condina commenta il Vangelo di Gv 20,19-31

«Mio Signore e mio Dio»: riconfermiamo la nostra fede in Cristo con le parole di Tommaso

Con la resurrezione di Gesù ha inizio nella Chiesa la storia della fede, che è esperienza personale della resurrezione nella propria vita. È proprio la mancanza di fede il soggetto dell’episodio in cui Tommaso non crede “se non tocca con mano”.

Abbiamo già ricevuto alcune indicazioni su cosa si debba fare per ottenere la fede: la prima consiste nell’“andare al sepolcro”, come fecero Maddalena, Pietro e Giovanni, ossia – fuor di metafora – entrare nei luoghi bui della propria storia, segnati da morte e tristezze,  per consentire a Dio di illuminarli affidandoglieli. Se in quel sepolcro avrà accesso il Signore della vita, la pietra che lo chiude salterà dal di dentro e tornerà la luce.

Affinché Tommaso possa ricevere la fede, invece, è necessario che stia insieme agli altri discepoli nel luogo e nel giorno in cui Gesù dà appuntamento otto giorni dopo la prima apparizione. Il Signore appare appositamente per essere visto e toccato da Tommaso, come aveva fatto con gli altri una settimana prima: «Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,19-20). Non gioiscono prima, ma dopo aver visto le mani e il fianco.

Anche Maria di Màgdala, aveva detto la stessa, identica frase: «Ho visto il Signore!», che gli apostoli avevano poi ripetuto a Tommaso: «Abbiamo visto il Signore!»; ma essi stessi, come Tommaso, non avevano creduto alla Maddalena, come lei stessa non aveva creduto prima di aver visto il Signore. Insomma, nessuno ha creduto prima di constatare con i propri occhi. Nessuno può credere senza fare un’esperienza, senza incontrare Cristo Risorto: bisogna costruire la fede di uno sforzo mentale per costringersi a credere. E possiamo capire quelli che rifiutano questa prospettiva.

È per questo che la richiesta pretenziosa di Tommaso – addirittura mettere il dito dentro le piaghe – a Gesù non crea problema. Significa che a chi chiede di toccare sarà concesso, perché Dio è giusto, non fa preferenze: ciò che concede a uno lo concede a tutti, in forme diverse, ma senza violare il principio di giustizia.

Il testo non rivela se Tommaso abbia toccato Gesù, ma ci racconta che si è arreso. Ci ha messo tempo a inginocchiarsi ma, quando l’ha fatto, è stato sul serio. E affermando «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28), dichiara il suo atto di fede, che non indica possesso ma abbandono a chi, un bel giorno, incontrandoti e chiamandoti, ti ha rubato il cuore.

Gesù educa e non mortifica la voglia di libertà interiore di Tommaso. È questo il suo stile e la Chiesa è invitata a ricalcarlo.

L’appuntamento dato da Gesù ai discepoli è il cuore della scansione liturgica della Chiesa, dando a tutti notizia che Cristo risorto appare regolarmente nell’assemblea cristiana. Ogni domenica, Pasqua della settimana, la chiesa offre a tutti l’occasione di passare dall’incredulità alla fede e arrivare così a un’esperienza diretta, personale della resurrezione di Cristo.

È proprio in questa assemblea, e non in altre, che soffia lo Spirito santo effuso sui discepoli da Gesù alla sua prima apparizione dopo la morte; e, da allora, è sempre presente nella sua Chiesa. Per questo motivo è necessario allontanare continuamente la tentazione del “Cristo sì, Chiesa no”, che spesso attanaglia tanti cristiani con lo sguardo distorto posato sulla povertà umana che abita la Chiesa, dimenticando che solo in essa scorre la linfa che dà vita all’essere cristiani: lo Spirito santo.