II domenica di Quaresima
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Nel corso di quest’anno liturgico abbiamo seguito lo snodarsi della vita pubblica di Gesù che Marco ha collocato in contesti diversi: il Giordano, dove si è immerso nell’acqua purificatrice pur essendo esente da peccato; il deserto, in cui è stato sottoposto alla prova e Cafarnao, la città dove gli uomini trascorrono la vita e svolgono le loro attività. Luoghi differenti, accomunati però da uno stesso significato: la partecipazione di Gesù all’esperienza umana, la sua condivisione totale della nostra esistenza. Il Vangelo di oggi, invece, ci porta in un ambiente del tutto diverso: l’alto monte dove lui e i discepoli possono rimanere” soli” e “in disparte”. La montagna è il luogo del silenzio, della trascendenza, è lo spazio più vicino al cielo dove è possibile rimanere appartati per incontrare Dio. E proprio lì, sul monte, siamo invitati a contemplare l’altra dimensione del mistero di Gesù: se il fiume, il deserto e la città avevano fatto risaltare il suo abbassamento, la sua condivisione con la nostra natura umana, ora il suo corpo trasfigurato e lo splendore delle sue vesti mettono in contatto con il mistero della sua vita divina. L’esperienza di familiarità che i discepoli hanno condiviso con lui ora si congiunge allo stupore, al contatto con la trascendenza, persino allo spavento che sempre accompagna l’uomo quando viene in contatto con Dio, basti pensare ai pastori che alla presenza dell’angelo” furono presi da grande timore” (Lc 2,9). Il brano di Marco ci conduce poi ancora più in alto rispetto alla montagna; nel cielo, e più esattamente da una nube, si ode una voce che conferma l’identità di quel Gesù con cui i discepoli avevano instaurato un legame di intima conoscenza tanto da accoglierlo a casa loro. Erano diventati suoi amici, suoi compagni di viaggio, ma ora il Padre conferma loro quanto Gesù aveva udito uscendo dalle acque del Giordano: quest’uomo così pienamente, così profondamente umano è il Figlio di Dio, l’amato, la cui voce essi devono ascoltare. Da questo momento inizia la grande prova per i discepoli, la prova della fede che sarà tentata, soprattutto nel momento della passione, di dubitare della divinità di Gesù di fronte alle forme più estreme della sua compartecipazione alla nostra umanità quali si esprimono nel dolore e nella morte. Il mistero della trasfigurazione non può, infatti, essere sganciato dalla totalità e dalla complessità dell’esperienza del Signore. Pietro, che vorrebbe eternizzarlo per godere di tanta bellezza, si rivela incapace di comprendere, come già era avvenuto a Cesarea di Filippo quando, rimproverando Gesù che aveva annunciato la sua morte drammatica, si era sentito definire con l’appellativo di Satana. Con lui anche noi siamo invitati a guardare alla Trasfigurazione come al mistero che rivela e rassicura, ma non illude. Abbiamo contemplato uno squarcio di cielo ora, però, anche noi come gli apostoli dobbiamo scendere dal monte coltivando il desiderio di ascoltare Gesù, la sua Parola, secondo l’invito rivolto dal Padre. Essa è la stella che orienta il nostro cammino e che non verrà mai a mancare. Se diversamente dai tre, non potremo contemplare la luminosità del volto e delle vesti del Signore trasfigurato, sarà tuttavia sempre possibile fare riferimento alla luce del suo Vangelo; una luce interiore, meno visibile ma non meno splendente, che riscalda e ristora, ma soprattutto insegna a essere figli nel Figlio, mistero in cui ci introduce il percorso quaresimale.