III domenica d’Avvento

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Già nella seconda domenica dell’anno C il Vangelo, che noi non abbiamo ascoltato avendo celebrato la solennità dell’Immacolata, presenta la figura del Battista e ne evidenzia l’attività di predicatore e l’invito alla conversione. Evidentemente le sue parole hanno fatto presa nel cuore di coloro che lo seguono, i quali gli pongono la domanda basilare, obbligatoria per chi davvero vuole cambiare stile di vita: “Che cosa dobbiamo fare?”. La vera conversione, infatti, non può prescindere dalla concretezza, dal compiere azioni che rivelano la trasformazione avvenuta nel cuore. Ed è interessante notare come Giovanni, questo asceta che predica nel deserto vestito “di peli di cammello” e cibandosi di “cavallette e miele selvatico” (Mt 3,4), come scrive l’evangelista Matteo, non chiede nulla di eccezionale alle persone desiderose di convertirsi. Ai pubblicani e ai soldati egli propone di essere onesti, di non lasciarsi tentare dai due possibili rischi a cui li espone il loro mestiere: ai primi ingiunge di non amministrare in modo ingiusto il denaro al fine di arricchirsi, ai secondi di non prevaricare sugli altri e non usare violenza. La risposta data alla folla manifesta, invece, come Giovanni sia davvero il precursore di Gesù, colui che incomincia a orientare la gente verso uno dei contenuti cardine della predicazione del Signore: l’amore per il prossimo. Nell’invito a condividere il cibo e il vestito con il fratello sentiamo infatti riecheggiare le parole che il Salvatore pronuncerà a proposito del giudizio finale: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare… ero nudo e mi avete vestito” (Mt 25,35-36). Il popolo, tuttavia, non si limita a chiedere informazioni in merito a come deve comportarsi; Luca mette in risalto l’interrogarsi da parte della gente rispetto all’identità del Battista e nello stesso tempo ne evidenzia lo stato d’animo, quel sentimento d’attesa che apre alla speranza e invita a porsi tante domande rispetto al futuro. Atteggiamento vitale, quello dell’attesa, che la nostra società sembra aver dimenticato, abituata com’è a ottenere tutto subito e priva di quelle aspirazioni che rendono l’esistenza degna di essere vissuta. Giovanni si rivela così un predicatore eccezionale, capace di suscitare e alimentare il desiderio nella folla; nello stesso tempo egli manifesta quella solidità, quella maturità che fa di lui, come disse Gesù stesso, “il più grande fra i nati di donna” (cf Mt 11,11). Egli è consapevole di non essere il Cristo, ma sa anche che questi sta per arrivare. Verso di lui, tuttavia, pare non nutrire la minima gelosia o senso di rivalità, anzi, il confronto che emerge dalle sue parole sembra unicamente evidenziare la superiorità di Colui che viene rispetto alla sua persona. Ed è proprio a causa di questo suo umile dimenticarsi che l’evangelista Giovanni potrà porre sulle sue labbra le seguenti parole: “lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,30). Il popolo potrà così conoscere non solo un santo predicatore che invita alla conversione attraverso un comportamento moralmente corretto, ma lo stesso Cristo in persona che battezza “in Spirito Santo e fuoco”, poiché ha il potere di introdurci, di immergerci nella vita di Dio rendendoci in tal modo suoi veri figli.