III domenica del Tempo ordinario
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio”; così inizia il Vangelo odierno e in tali parole possiamo cogliere l’esaudimento del desiderio espresso dal Battista: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,30). Questa diminuzione è in atto per Giovanni nell’esperienza della prigionia che lo obbliga cedere il posto a Gesù, un Gesù di cui conosciamo subito un importante tratto della personalità: il coraggio. Accade molto raramente che qualcuno sia incline a prendere il posto di una persona la cui situazione è precaria se non drammatica; normalmente vogliamo succedere a chi è considerato vincente, per emularlo o superarlo. Per Gesù non fu così, poiché la motivazione che lo guidava non era autoreferenziale, ma orientata a quel regno che stava iniziando a diffondere. Ed ecco che egli proclama la sintesi del suo Vangelo, costituita da un duplice annuncio seguito da un’indicazione categorica rispetto ai comportamenti da assumere. Sono queste le parole che testimoniano del passaggio avvenuto, un passaggio che non si realizza in modo lineare secondo un criterio di continuità rispetto al passato. Questo Vangelo, questa buona notizia immette qualcosa di totalmente nuovo nel mondo degli uomini, tanto che il tempo in cui inizia la sua divulgazione non può essere pensato in modo lineare, come qualcosa che scorre un minuto dopo l’altro; esso è piuttosto il Kairòs, il momento favorevole, quello in cui un determinato evento deve realizzarsi. Questa, dunque, è l’occasione buona per annunciare che il regno si è fatto vicino ed è qui. È interessante notare come Gesù non annunci se stesso: non si parla, infatti, di un re bensì di un regno; è la proclamazione della signoria di Dio, del suo iniziare a regnare, che tuttavia si realizza in modo sorprendente nella persona di Gesù. Per aver fede in questa verità inattesa è indispensabile assumere degli atteggiamenti la cui necessità è suggerita dai due verbi all’imperativo: convertirsi e credere. Si tratta di due termini che si ricollegano a dimensioni fondamentali della nostra persona: la relazione con sé stessi e con l’altro, in questo caso con il Vangelo incarnato da Gesù. L’invito a convertirsi equivale alla richiesta di cambiare mentalità e non solo per un istante, ma in modo continuativo; è necessario mettere in moto un dinamismo grazie al quale possiamo posare uno sguardo diverso sulla realtà, cambiare i criteri di giudizio, elaborare una differente gerarchia di valori. È quindi il rapporto con il nostro Io che si trasforma, poiché la conversione obbliga ad attuare un processo di decentramento che esige il superamento di ogni forma di egocentrismo. Credere al Vangelo, invece, richiede la disponibilità ad aderire con il cuore a Qualcuno, a Dio nella persona di Gesù Cristo, a cui possiamo affidarci totalmente dandogli tutta la nostra fiducia. Subito dopo, il racconto ci offre un esempio su come tale affidamento possa essere senza riserve. Gesù passa lungo il mare, vede Simone e Andrea che gettano le reti e li invita a seguirlo. La rapidità della loro risposta è sconcertante, ma illustra con estrema chiarezza che cosa significa “convertirsi e credere al Vangelo”; non si tratta, infatti, di ascoltare un annuncio per poi riprendere una vita normale, ma di entrare in un dinamismo continuo, capace di far sperimentare e assaporare un nuovo modo di vivere.