III domenica di Avvento Lc 3,10-18

 
 

“La via della condivisione” –

a cura di Don Luciano Condina –

La terza domenica di Avvento è detta Gaudete in virtù della parola con cui esordisce la seconda lettura, in vista del Natale ormai prossimo: «Gaudete in Domino semper» (Fil 4,4). Non si intende la gioia mondana del “va tutto bene”, “tutte le cose si aggiustano”; no, la vita è difficile e molto seria. Ma arriva una Persona con cui è possibile viverla nel gaudio, identico a quello che segue i dolori del parto: il Signore Gesù. A motivo di ciò il colore liturgico può essere rosaceo.

«Cosa dobbiamo fare?» (v. 10), chiedono le folle a Giovanni. Quante volte questa domanda ci ha accompagnato nella vita! Quanti dilemmi ci siamo portati dietro nel tempo senza capire quale fosse la cosa giusta da fare. Giovanni è chiarissimo nella risposta: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (v. 11). Queste sono esortazioni a fare il proprio dovere, quindi la buona notizia parte da qui, dal praticare la giustizia: la mentalità della legge è chiara. Ora, fare il proprio dovere e dunque fare il bene – che è spesso inteso come oggetto finale della morale, religiosa e non, sia etica che politica – nella buona novella di Gesù è solo l’inizio del cammino.
È il tema dell’eterno dibattito se bastino la fede o le opere per salvarsi. Le buone opere sono solo l’inizio nel processo di salvezza, che è pieno quando si compie  l’avvento di Gesù nelle nostre vite inondate dal suo amore. Un uomo salvo non è semplicemente un uomo che fa cose buone: è un uomo amato, che sa di esserlo ed è consolato da questo amore. E chi è consolato spesso ha un volto beato. In virtù dell’amore ricevuto, non può far altro che diventare egli stesso dono per gli altri. Un uomo è salvo quando si lascia inondare dalla Grazia.

Nel mondo del volontariato – sia religioso che laico – molte persone fanno tante cose buone, ma capita che lo facciano disprezzando chi hanno intorno o, addirittura, coloro per cui lo fanno. No, le opere non bastano per essere salvati ed è necessario un Messia che ristabilisca l’ordine delle cose. Giovanni battezza con acqua, ma sta arrivando uno più forte di lui a cui non è degno di slegare i lacci dei sandali. Il gesto fa riferimento al rito compiuto da chi voleva prendere in moglie una donna destinata a un altro parente (legge del levirato). La donna era destinata al parente più vicino, ma se quest’ultimo non voleva sposarla, un altro doveva subentrargli compiendo un rito: gli slegava il legaccio dei sandali, per indicare il passaggio di possesso dal primo al secondo.

Con quella citazione il Battista intende sottolineare non un personale atto di umiltà verso il Messia, bensì verso uno sposo: c’è una donna – che simboleggia noi – e non sarà Giovanni a prenderla in moglie, perché sta arrivando il vero Sposo. Ed Egli non cederà il suo diritto: il Signore Gesù è il nostro sposo ed è colui che deve venire; colui che ci spoglierà dalle nostre miserie, ci toglierà la pula e la paglia, ci farà vivere secondo una verità che nemmeno immaginiamo quanto possa essere bella; ci porterà a essere una cosa sola con Lui che, vero Sposo, donerà tutto se stesso. Il Battista ritiene però che il Messia farà ordine con lo stile del Dio del Sinai: immergerà Israele nel fuoco, nello Spirito Santo, nella potenza, farà giustizia; avrà la pala per pulire l’aia, spazzerà via lo sporco, toglierà i problemi, raccoglierà la parte buona del frumento. Riguardo alla pala, la traduzione precedente traduceva «ventilabro», l’attrezzo usato per tirare in aria il grano, arieggiare il frumento e farli sbattere quando cadevano, sicché la pelle intorno al chicco – la pula, appunto – piano piano si staccava e veniva portata via dal vento.

Ciò che il Battista profetizza di tremendo sul creato si è invece abbattuto su Cristo, che ha compiuto la salvezza con l’amore più grande, dolce come il vento, che porta via la pula dal grano arieggiato dal ventilabro. Viviamo questa purificazione del cuore con lo stesso sì che ha saputo pronunciare Maria, l’Immacolata.