Il sole

 
 

a cura di Mons. Alberto Albertazzi

alberipazzi@gmail.com

Continuando coi Salmi, seleziono quelli più scintillanti, per sintonizzarci sulla Pasqua, la cui atmosfera liturgica si protrae fino a Pentecoste; e disincagliarci, almeno mentalmente, dalle poco allegre vicende del covid 19. Prendiamo ora la prima parte del salmo 19(18) (1), di cui ecco il testo:

I cieli narrano la gloria di Dio,
l’opera della sue mani
annuncia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il racconto
e la notte alla notte ne trasmette notizia.

Senza linguaggio, senza parole,
senza che si oda la loro voce,
per tutta la terra si diffonde il loro annuncio
e ai confini del mondo il loro messaggio.

Là pose una tenda per il sole
che esce come sposo dalla stanza nuziale:
esulta come un prode che percorre la via.

Sorge da un estremo del cielo
e la sua orbita raggiunge l’altro estremo,
nulla si sottrae al suo calore.

Come ho detto, questa è la prima parte del salmo, mirata sul fascino astronomico. La seconda parte è mirata invece sulla bellezza legislativa dei precetti del Signore: i dieci comandamenti, per intenderci. Quindi stelle e legge. Il miglior commento sintetico a questo salmo, nella sua interezza, lo ha fatto il filosofo prussiano Emanuele Kant (1724-1804): “Due cose mi riempiono si stupore e di meraviglia: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me” (2).

Il cielo stellato può essere osservato con un triplice sguardo: quello dell’astronomo, quello del poeta, quello del credente. Sono sguardi fra loro perfettamente compatibili, perché a nessuno è vietato di essere astronomo, poeta e credente.

L’astronomo si cimenta fra le stelle con un piglio catastal-sidereo (3). Fra una stella e l’altra estende suggestivamente gli anni-luce: gran bella denominazione per le distanze stellari da capogiro. L’anno-luce, lo sappiamo bene, è lo spazio che la luce percorre in un anno, viaggiando a poco meno che trecentomila chilometri al secondo. E noi, smargiassi, osiamo parlare di conquista dello spazio perché stiamo arrancando verso il nostro vicino di casa che è il pianeta Marte.

Il poeta contempla la volta celeste con ispirata fantasia lirica. Cito il finale di quella poesia del Pascoli (4), che tutti sappiamo a memoria:

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male.

Splendida interpretazione delle stelle cadenti (5), propense a lacrimosa caduta attorno alla festa di san Lorenzo: 10 agosto per l’appunto.

Il credente non può contemplare la volta stellata senza almeno sfiorare col pensiero Dio che ne è genialissimo creatore. E se il credente è anche un poeta biblico, ecco il nostro stupendo salmo. Se è anche un santo cristiano, ecco il Cantico delle creature di san Francesco (1182-1226):

Laudato sie, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’hai formate clarite et pretiose et belle.

Il nostro salmista tuttavia ha un tocco di genialità poetica che non ho trovato altrove. Apprezza infatti il susseguirsi dei giorni e delle notti (Il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia), in una specie di tacito passaparola: senza linguaggio, senza parole, / senza che si oda la loro voce. Ha in mente dunque l’universo non pacchiano, non fracassone, ma affascinante nel suo ermo, leopardiano silenzio (6): “Che fai tu, luna in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa luna?”. Peccato che il nostro lunatico satellite non trovi menzione in questo salmo!

Ma fra le stelle un’attenzione particolare se la merita il Sole, proclamato da Dante “lo ministro maggior della natura” (7). Di questa benefica stella nostrana san Francesco nel cantico citato dice:

Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.

Tutto vero, tutto bello. Ma la fantasia del salmista va oltre. Immagina infatti l’aurora come un risvegliarsi del Sole:

Esce come sposo dalla stanza nuziale
Esulta come un prode che percorre la via

Sembra quasi che il poeta biblico immagini i primi bagliori aurorali come sbadigli solari per poi esultare con dardeggiante fierezza al pari di un prode che si incammina verso la battaglia. Il poeta, esperto del terribile sole mediorientale di centro giornata, non esita a ad attribuirgli un piglio gagliardo, se non persino minaccioso. Patisce l’invisibile itinerario solare, troppo accecante per essere osservato da sguardo umano, dando risalto solo agli estremi della sua gloriosa passeggiata diurna:

Sorge da un estremo del cielo
e la sua orbita raggiunge l’altro estremo:
nulla si sottrae al suo calore.

Alba e tramonto menzionati nella loro contrapposta bellezza. E fra questi due estremi quotidiani sta la persecuzione universale del suo implacabile calore: nulla si sottrae al suo calore. Il nostro poeta-salmista può ben dire quindi in esordio:

I cieli narrano la gloria di Dio,
l’opera delle sue mani annuncia il firmamento (8).

Accurata è la scelta dei verbi, che rendono perfettamente l’originale ebraico. Il cielo stellato non si offre soltanto alla contemplazione, ma è capace di una sua tacita, prolungata eloquenza narrativa, che fa risalire l’animo sensibile dalla creazione al Creatore. Ed è pittoresca e suggestiva la dizione “opera delle sue mani”, che raffigura il Creatore come un sapiente, supremo artigiano o, meglio, artista che organizza il cosmo con grandiosa bellezza. La Bibbia per il “fare” di Dio possiede un verbo che può avere soltanto Lui come soggetto (9). Ma in questa circostanza il salmista lo abbandona, per vivacizzare l’impresa creatrice di Dio, facendocelo immaginare intento alla sua opera, quasi a maniche rimboccate.

Cielo e firmamento sono per noi parole quasi sinonime. Invece nella Bibbia si differenziano per la loro funzione, come leggiamo nella pagina della creazione. Cielo e terra sono stati creati subito, “in principio”. Il firmamento invece è stato creato il giorno dopo. Dio disse “Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque”. Non è questione di acqua dolce e acqua salata, ma di acque superiori e acque inferiori. Quando non c’era ancora il meteo, bisognava pur trovare un modo per spiegare le precipitazioni!

Abbiamo goduto in questo salmo sovrabbondanza di luce, che non è inutile classificare. C’è la luce artificiale dell’Enel e affini. C’è infatti la luce naturale del sole. C’è la luce soprannaturale della Pasqua, di cui nella scena della Trasfigurazione (10) abbiamo contemplato il primo, promettente scintillio.

Un ampliamento poetico a questo salmo, di pari se non superiore bellezza, lo troviamo del libro dei Siracide (43,1-2) (11), ove campeggia nella volta notturna anche “sora luna” (così san Francesco, vedi sopra), stranamente dimenticata dal nostro assolato salmista.

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1 Fuori parentesi la numerazione biblica, in parentesi quella liturgica.
2 E. KANT La critica della ragione pratica.
3 Parola composita di mio conio. Il catasto tutti sappiamo cos’è. Sidereo dal latino sidus = stella. Avrei potuto scrivere catstal-stellare.
4 G. PASCOLI Dieci agosto.
5 Cfr anche Matteo 24,29; Marco 13,25.
6 LEOPARDI Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
7 DANTE Paradiso X 28.
8 Si noti la finezza stilistica del chiasmo, figura retorica che costruisce nel modo seguente una frase a due membri: soggetto-verbo-oggetto/oggetto-verbo-soggetto.
9 Il verbo ebraico bara’, abitualmente tradotto con creare.
10 Seconda domenica di quaresima.
11 E’ l’ultimo libro sapienziale dell’Antico Testamento.