Immacolata Concezione Lc 1,26-38

 
 

Fecondità di corpo, anima e spirito –

a cura di Don Luciano Condina –

La seconda domenica di Avvento e la festività dell’Immacolata Concezione si incrociano. Un tema importante, presente nella liturgia, è quello della fecondità. Nella prima lettura (Gn 3,9-15.20) incontriamo Eva che dona ad Adamo il frutto proibito, quindi portatore di morte. Il frutto è simbolo per eccellenza di fecondità ma, in questo caso – provenendo dall’albero della conoscenza del bene e del male – rappresenta una fecondità distorta, che diventa sterilità.

Nel vangelo incontriamo invece il momento in cui una fecondità inedita entra nel mondo con la nuova Eva – Maria di Nazareth – che all’annunciazione dell’arcangelo Gabriele viene fecondata alla nuova vita – il Verbo di Dio incarnato – in colei che non porta peccato originale, la condizione di Maria celebrata appunto nel dogma dell’Immacolata Concezione.

Il tema della fecondità è fondamentale per tutta l’antropologia cristiana, in quanto tocca i tre elementi che compongono tutto il nostro essere: il corpo, l’anima e lo spirito. Ciascuno di essi ha una fecondità propria ed è bene contemplarle nella differenza, perché la fecondità è la capacità di portare frutto. «Siate fecondi» esorta Dio Adamo ed Eva (Gn 1,28): la fecondità è benedizione del Signore, la sterilità è maledizione, secondo le categorie bibliche.
La fecondità del corpo fisico è la capacità di generare figli naturali. La fecondità dell’anima riguarda la sfera psichica ed emozionale e corrisponde alla creatività: le opere d’arte, ad esempio; le invenzioni, le scoperte; tutto ciò che è creativo deriva da questa sfera antropologica che è la realtà dell’anima.

E infine c’è la fecondità dello spirito, che è la capacità di generare la nuova vita, la vita in Dio, la vita eterna.
Ogni fecondità ha una propria cellula fecondante: per il corpo è il seme maschile; per l’anima può essere qualcosa di bello o di geniale che colpisce l’interiorità, come una musica, un dipinto, una poesia, una scoperta scientifica; per lo spirito – ed ecco la novità che entra nella storia – la cellula fecondante è una parola; per Maria è il Verbo di Dio che, dopo il suo «eccomi», può entrare nella storia e portare la vita di Dio nel mondo.

Lo stesso tocca a tutti noi. La fede nasce dall’ascolto, scrive S. Paolo (Rom 10,17), ossia la vita nuova nasce dall’accoglienza di una parola, non una parola qualunque ma una parola di Dio. Allora l’annuncio della parola di Dio diventa vero e proprio atto fecondante di vita eterna.

Nell’Avvento, come nella Quaresima, siamo invitati a vivere un periodo di digiuno, erroneamente interpretato come sacrificio per essere graditi a Dio (non bastassero i già tanti sacrifici che il mondo continuamente chiede alla nostra quotidianità!). Non si tratta di fare un “fioretto” per essere benvoluti dal Signore, ma di accogliere qualcosa di più grande: Dio non toglie mai, aggiunge sempre!

Ogni cristiano è chiamato a vivere la castità del corpo, non nell’ottica del sacrificio, quanto invece nell’apertura a una fecondità più elevata. L’eros è il mezzo attraverso cui la fecondità può svilupparsi, ma se tutti conosciamo l’eros del corpo, forse ignoriamo che anche le altre due fecondità – quella dell’anima e dello spirito – portano con sé un eros peculiare al proprio stato. Nel messaggio per la Quaresima 2007, papa Benedetto XVI affermò audacemente: «L’amore di Dio è anche eros, Gesù ne è la rivelazione più sconvolgente».

Viviamo allora questo annuncio che ci immerge nell’Avvento come l’apertura a una vita molto più piena rispetto a quelle quattro povere cose che il mondo può darci.