Iniziazione Cristiana

Si è soliti lamentare che in occidente il montaggio dell’iniziazione cristiana sia un po’ raffazzonato e si auspica da più parti il ripristino della successione classica: battesimo, cresima, eucaristia. Da noi la prima comunione precede la cresima. La scansione classica è tuttora osservata nell’oriente cristiano. L’occidente l’ha osservata circa sino a epoca carolingia, quando inizia la progressiva inversione degli ultimi due sacramenti, mettendo l’eucaristia prima della cresima. Si dice che questa prassi, chiamiamola genericamente occidentale, sia illogica e difficilmente sostenibile da un punto di vista teologico. Ecco in soldoni il ragionamento: se la cresima è il sacramento della maturità cristiana, deve precedere la prima comunione. Infatti l’eucaristia non è stata istituita in una scuola materna, ma fra persone superadulte, in grado di intendere, volere, tradire e rinnegare. Quindi l’eucaristia starebbe meglio in coda.

A mio sommesso parere però il Nuovo Testamento non è così univoco nel documentare il montaggio classico. I tre sacramenti in questione non li troviamo mai esplicitamente menzionati insieme, ma sempre in ordine sparso, al massimo con una più o meno esplicita congiunzione fra battesimo e cresima (cfr At 8,13-15; 19,1-6; Ef 1,13; 4,30), senza che mai vi sia un riferimento all’eucaristia, salvo che non la veda un po’ fantasiosamente nella cena in casa del carceriere di Filippi, al seguito del battesimo dato all’intera famiglia di lui (At 16,33-34). Ma vi manca la cresima.

Ragionando ora per archetipi neotestamentari, notiamo che gli apostoli hanno ricevuto lo Spirito Santo – lege cresima – dopo l’istituzione dell’eucaristia, in circostanza privata (Gv 20,19-13) e in circostanza pubblica (At 2,3-4). Ciascuno dei tre sacramenti di iniziazione cristiana, pur essendo in ogni caso un evento trinitario, mette in connessione chi lo riceve, con una specifica persona della SS. Trinità: il battesimo fa scattare la figliolanza adottiva, dando perciò risalto a Dio Padre; l’eucaristia connette col Figlio, essendone il corpo e il sangue; la cresima dona lo Spirito Santo al soggetto suscipiente. E la formula trinitaria tradizionale, come da Mt 28,19, recita: «Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», esattamente come è passata nel segno di croce. Dovrebbe discenderne che non è così arbitrario che a livello sacramentale la cresima vada in coda e al centro si installi l’eucaristia. Se poi volessimo giustificare biblicamente la prassi occidentale, una mano non inefficace ci proviene da Eb 6,4-5: «Quelli, infatti, che sono stati una volta illuminati [battesimo] e hanno gustato il dono celeste [eucaristia], sono diventati partecipi dello Spirito Santo [cresima] e hanno gustato la buona parola di Dio e i prodigi del mondo futuro». Se ho bene osservato, questo è l’unico luogo del Nuovo Testamento in cui i tre sacramenti di iniziazione cristiana sono menzionati, o allusi, nel medesimo giro di frase. Dà nell’occhio il fatto che la cresima sia in coda e i primi due siano prospettati come a lei propedeutici.

I conti tornano anche nello sviluppo naturale della vita umana. Se si vuole che la cresima sia il sacramento della maturità, è risaputo che a mangiare si comincia da subito, mentre la maturità si raggiunge più tardi (se la si raggiunge …).

Quindi, a parer mio, la prima comunione si continui pure a fare ai primi anni di scuola, e non si abbia timore di ritardare la cresima a un’età meno intaccata da quei micidiali aggeggi svuota-cervello – di cui peraltro faccio uso – che sono telefonini e computer.

Questo lo dico (e imploro) da vecchio parroco sempre più insofferente verso cresime accordate a ragazzi di anno in anno sempre meno sensibili al messaggio

religioso: se è sostenibile quanto qui ho scritto velocemente, la teologia non dovrebbe essere scontenta. Ci sarebbe il rischio che non tutti ricevano la cresima, ma è meglio un’iniziazione cristiana dimezzata che una cresima sprecata.

APPENDICE CEI AL MESSALE 1983

Alle pp. 899-1134 del vigente Messale troviamo una massiccia Appendice CEI comprensiva di vari elementi. A noi interessano ora le preghiere presidenziali presenti in due serie così denominate: 1. Orazioni sulle offerte e dopo la comunione (pp. 929-961); 2. Collette per le domeniche e le solennità (pp. 962-1013). Queste ultime alla lunga stancano: sono troppo cerebrali, troppo didattiche, troppo nate a tavolino. In esse l’intenzione catechistica sembra prevalere sull’intenzione orante. Lo scopo, lo sappiamo, è quello strizzare concettualmente le letture bibliche della rispettiva ricorrenza, installandone il concentrato per lo più nell’ampliamento relativo.

Dicesi “ampliamento relativo” quello stilema tipico della eucologia romana che amplifica per l’appunto il nome di Dio, invocato in esordio, enunciandone l’azione, a Lui collegata con il pronome relativo “che”: i frequentissimi Deus, qui dell’eucologia latina, resi abitualmente in italiano con Dio, che.

In questo sforzo, che si è voluto fare con le migliori intenzioni, si sono prodotti dei testi chilometrici, ben lontani dalla tradizionale sobrietà di linguaggio della liturgia romana, maestra insuperata di parsimonia linguistica, in ossequio al galateo orante enunciato in Mt 6,7. Non so che fine faranno questi testi nell’atteso nuovo Messale CEI, fondato sull’edizione 2002 del Missale Romanum (terza post-conciliare dopo le edizioni 1970 e 1975). Se fossero fatte fuori a parer mio non sarebbe il caso di spargere lacrime. Si otterrebbe anche un volume meno “massacra-chierichetti”. In ogni caso, se queste collette si vogliono utilizzare essendo pienamente legittime, starebbero bene a conclusione della preghiera dei fedeli, un po’ come la preghiera ad complendam liturgiam verbi del Missale Ambrosianum. Dopo ascoltate e commentate le letture, queste collette, vista la loro natura, diventano più opportune.

Ben altro discorso si deve fare per le “Orazioni sulle offerte e dopo la comunione” previste per i tempi avvento-natale e pasquale, onde evitare la ripetizione nei giorni feriali della formula domenicale. Forse la preoccupazione pare eccessiva, perché non saprei dire che attenzione presti l’assemblea a queste mini-orazioni che, per essere individuate e riconosciute, richiedono un orecchio specializzato. Ma il sacerdote all’altare non prega solo per l’assemblea ma anche per sé, non dimentichiamolo.

Orbene questi testi sono autentici cavalli di razza, piluccati in buona parte dall’eucologia romana classica, e peraltro altrove presenti nel vigente Messale Romano. Si tratta infatti, specie per avvento-natale, delle preghiere sopra le offerte e dopo la comunione previste dal comune dei santi (pp. 650-700), adattate con piccoli ritocchi al tempo liturgico, per lo più sforbiciando quanto in esse i riferisce ai santi.

Si è voluta fare quest’operazione per rimettere in gioco quelle preghiere alle quali si faceva ben scarso ricorso: sia perché i santi sprovvisti di formulario completo nel “proprio” sono relativamente pochi, sia perché ove compare solo la colletta, è possibile rimanere sul proprio del tempo per preghiera sulle offerte e dopo la comunione (Ordinamento Generale del Messale Romano, 363). E’ dunque un ricupero intelligente che consente la fruizione estesa della vistissima e raffinata messe di preghiera di cui è ricco il nostro Messale, decente anche nell’attuale traduzione.

A proposito di traduzione: da quanto mi è stato dato di vedere, a parer mio la nuova traduzione, fatta a norma delle indicazione fornite dall’istruzione Liturgiam Authenticam (28.03.2001), dovrebbe risultare stilisticamente più elegante. Del resto i grandi maestri dell’antichità – Leone Magno (440-461), Gelasio (492-496), Gregorio Magno (590-604) – nella loro impareggiabile eucologia non usavano il sermo cotidianus ma il sermo elatus.