IV domenica di Pasqua Gv 10, 11-18

 
 

– a cura di Mons. Sergio Salvini –

la bellezza dell’Incarnazione –

È la domenica del buon pastore, del pastore che possiede la bellezza di quel Vangelo che Pietro proclama davanti al Sinedrio: «In nessun altro c’è salvezza!». Egli è bellezza assoluta perché è dono assoluto!
È stato scritto: «La bellezza salverà il mondo». Questa espressione si è letta sempre in chiave estetico-artistico,  ma è bene leggervi un di più. La bellezza che davvero «salverà il mondo» è quella del pastore che è tutto per l’altro, che non si preoccupa di salvare se stesso ma di salvare gli altri.

Esiste una bellezza incommensurabile nel vivere così la propria vita: Gesù è stato capace di questa bellezza e perciò ha salvato il mondo.

Viviamo un’ora storica afflitta dalla “bruttezza” a più sfaccettature: del profitto, del calcolo, del contraccambio, del salvare se stessi a tutti i costi, crocifiggendo gli altri, soprattutto i deboli. La sfida della bellezza sta nell’incarnazione di Cristo più che nella visione iconografica: «Il mondo sarà salvato dalla Bellezza», non «la Bellezza salverà il mondo».

Sembra impossibile alla bellezza sottrarsi a questo ruolo e sembra per essa inevitabile il legame con il bene. Diceva Dostoevskij: «Al mondo esiste un solo essere assolutamente bello, il Cristo, ma l’apparizione di questo essere immensamente, infinitamente bello, è di certo un infinito miracolo».

Ogni giorno si uccide nel mondo, inondandolo di lacrime e sangue» Cristo crocefisso è la luce di speranza che accende il fuoco dell’amore sulla terra ormai spenta. È la risposta alla ferocia del momento: uccidere in nome di Dio. Cristo crocifisso offre se stesso e perdona.

Lì si legge la pietà di Dio per l’uomo che non ne ha più. Il Signore, fin dalla creazione, ha cominciato a popolare da dentro il mondo, a cercare di donargli un’identità precisa, per poi esserne respinto fuori, nell’incomprensione generale, ma realizzando ugualmente il proprio progetto.

Questa direzione sembra essere un tratto caratteristico dell’esperienza cristiana: andare verso il fuori, rompere la tradizione partendo dall’interno.
Il punto centrale del Vangelo non sono la comprensione e neppure l’ascolto totale e onnicomprensivo della realtà, ma qualcosa di diverso: un annuncio che chiama, che evoca qualcosa; un percorso che da “dentro” porta “fuori”, in un altrove in cui quel dentro trova la sua vera ragione.
La garanzia di autenticità del pastore buono è tutta qui: dare la vita! In questo le sue pecore lo riconoscono e imparano a fidarsi di Lui.
La forza di Cristo buon-bel pastore è apertura al futuro e ci dona la sua stessa forza nell’oblazione al Padre. Gesù nel Vangelo afferma: «Per questo il Padre mi ama: perché io dò la mia vita, per poi riprenderla di nuovo».

Offre la sua vita in espiazione delle colpe degli uomini, ma la riavrà: «Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo».

Non si offre la propria vita a Dio se non nell’amore e non la si riavrà se non dopo averla donata per amore. Un amore che è libero, perché non esiste  amore dove c’è costrizione.

Possiamo offrire e soffrire, oppure ritirarci ribellandoci al soffrire. Siamo sempre liberi, l’amore è sempre atto libero.
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«Oggi è la “Giornata delle Vocazioni”. Dovremmo sentirci un po’ tutti chiamati per nome; è necessario vedere in Gesù la guida dei nostri destini, dell’intera nostra vita; dobbiamo tutti rincorrerlo per dirgli: grazie! La mia vita è tua, come la tua vita è stata ed è mia…
L’umanità che segue Cristo, è chiamata la Sposa del Signore. Il che vuol dire una risposta: amore per amore»

(Paolo VI).