IV domenica di Quaresima

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Il Vangelo di oggi appartiene a un testo più ampio in cui si narra il dialogo di Gesù con Nicodemo. Esso inizia mettendo in risalto una necessità: “bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo”, il cui fine consiste nel rendere accessibile la vita eterna a colui che crede. Sarebbe molto riduttivo, anche se spesso cadiamo in questo errore, equiparare la vita eterna alla vita futura, quella che ci attende dopo la morte. Eterna, infatti, è la vita di Dio, quella vissuta come la vive Dio in un continuo slancio di comunione e amore. È la vita che ci è offerta dallo Spirito Santo, il quale genera in noi il figlio di Dio. Si tratta di un tipo di esistenza che noi non possiamo darci da soli e questo spiega il motivo di quel “bisogna” con cui si apre il Vangelo. Anche se ci illudiamo di poterlo fare, nonostante la bontà di alcuni nostri comportamenti, noi non siamo in grado di salvare noi stessi e di darci la vita. Possiamo solo riceverla da Colui che è stato innalzato sulla croce e, attraverso la sua morte e risurrezione, ce l’ha donata rendendoci figli di Dio. Il brano prosegue offrendoci uno scorcio di cielo; esso, infatti, ci presenta l’origine di questo dono di cui potremo partecipare grazie alla morte e risurrezione di Gesù: è l’amore del Padre il punto di partenza di tutto; Giovanni lo descrive con due termini apparentemente banali – “tanto” e “dare” -, che tuttavia permettono di intuire le dimensioni infinite del cuore di Dio. Questo testo invita, quindi, ad accogliere e gustare “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” (Ef 3,14), per usare un’espressione paolina, dell’amore del Padre, un amore che si manifesta nel dono di quanto di più prezioso egli possiede: il Figlio. Dono che consiste nel mettere nelle mani di noi uomini, di cui egli conosce il limite e la malvagità, colui che sul Tabor aveva definito come l’oggetto del suo amore. Gesù presenta così il volto di un Padre che non si difende, non si protegge ma, consegnandoci il Figlio, si rende invece vulnerabile. In questi giorni in cui siamo raggiunti da notizie sempre più drammatiche dai luoghi dove imperversa la guerra, possiamo chiederci se un padre o una madre sarebbero disposti a cedere il proprio figlio all’avversario. La risposta negativa è scontata. Al contrario, pur di aprirci l’accesso al suo modo di vivere, il Padre ha accettato di lasciare il Figlio in balia dell’uomo, già sapendo che lo avremmo innalzato sulla croce. Tutto questo è avvenuto non per una volontà di morte da parte di Dio, ma a causa dei nostri peccati; non per un giudizio nei confronti di questo mondo fatto di luce e di tenebre, un giudizio alla maniera umana che mira in primo luogo a trovare il colpevole, ma per offrire la salvezza a coloro che desiderano riceverla. Dio non vuole condannare il mondo, ma salvarlo; per tale motivo nella persona di Gesù ci ha offerto una luce da cui possiamo nasconderci, proprio come Adamo dopo il peccato, ma che siamo anche liberi di accogliere. Essa ci permette di fare la verità su noi stessi, di vedere il nostro limite e il nostro peccato continuando tuttavia a credere all’amore di Dio per noi. Questa luce fa “venire alla luce”, in quanto ci genera come figli di Dio, proprio come avvenne per Nicodemo il quale, dopo l’innalzamento di Gesù, non ebbe più bisogno di agire di notte ma si mostrò discepolo rinato a una nuova vita.