IV domenica di Quaresima – Lc 15,1-3.11-32
– Solo l’amore può guarire –
a cura di Mons. Sergio Salvini –
La parola di Gesù è la parabola di Dio. Ma questa, appare come “incompiuta”, sembra attendere altri eventi, quasi una parabola in atto di compiersi.
Noi l’abbiamo memorizzata come “la parabola del figliol prodigo”. Il Vangelo di questa domenica laetare è con il finale sospeso: il figlio perduto ritorna a casa, il padre lo abbraccia e gli usa misericordia, senza chiedergli conto del male commesso, anzi: si canta, si balla, si fa festa per quel figlio ritrovato…
Poi, ecco apparire l’altro, il maggiore, rimasto sempre a casa: risentito, non vuole partecipare alla gioia del padre e del fratello. Allora il padre esce di casa anche per lui, pregandolo di entrare e di unirsi alla festa… La fine del racconto tace sulla reazione del figlio maggiore: è rimasto ostinatamente fuori? Cos’è successo dopo l’avvio della festa con la musica e il pranzo preparato? Tutto è silenzio: il racconto termina. Il compiuto renderebbe questo Vangelo forse poco riverente. Al figlio perduto che si getta in quell’abbraccio e si converte è fatto conoscere davvero il cuore del padre!
È questa, davvero, una domenica di gioia, perché al centro della Quaresima c’è un annunzio di perdono e misericordia che è un evangelo, anzi è l’evangelo, è la buona notizia per eccellenza! Tutti, infatti, siamo assetati di perdono, tutti siamo assetati di una parola che ci guarisca e ci sani gratuitamente senza “se” e senza “ma”, senza ricatti morali, senza richieste! L’unica cosa vera che guarisce è l’amore.
Il Signore Dio è il Padre sconcertante nella sua alterità: sconcertante perché fa sempre il primo passo, perché è disposto a rimanere fuori con il figlio maggiore così come era rimasto in attesa di quell’altro figlio nella sua lontananza. Chissà se il figlio maggiore entrerà alla festa? Di certo, fin quando non entrerà neanche il Padre vorrà entrarvi e la festa non inizierà fin quando i cosiddetti “giusti” non avranno il coraggio di sedere alla mensa dei peccatori con l’unico Padre comune. Fino a quel momento la festa sarà senza gioia piena, perché senza il Padre e senza il fratello maggiore non potrà esservi vera festa.
Questa parabola è introdotta proprio dalla polemica di un gruppo di “figli maggiori” scandalizzati da Gesù seduto a mensa con i peccatori. Sedendo a quella mensa, il Signore voleva raccontare ancora Dio, ma tutti quei “fratelli maggiori” non riuscivano a coglierlo perché troppo chiusi nella loro pretesa “giustizia”, troppo colmi di disprezzo per i peccatori.Solo chi accoglie con cuore misericordioso entra davvero nella Terra Promessa, la terra della fraternità; fino a quando non si riconosce il Padre comune e fino a quando non si guarda negli occhi il fratello come fratello e non come “giusto” o “peccatore”, non si è fatto nessun passo di un’umanità nuova, libera perché amata, libera perché amante.
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La sorpresa più grande di questa parabola non è la conversione del figlio giovane, non è il ritornare sui suoi passi ma lo scoprire che «il padre lo stava aspettando, da anni». Così «quel grande peccatore, quel grande sperperatore di quanto il padre aveva guadagnato, trovò qualcosa di cui non era mai stato consapevole: l’abbraccio della misericordia» (papa Francesco).