IV DOMENICA PASQUA 2021
Don Luciano Condina commenta il Vangelo Gv 10,11-18
Con la parabola del buon pastore Gesù ci indica la caratteristica principale che rende credibile, e soprattutto autentico, l’unico vero Dio da seguire.
Ogni uomo ha un “Dio” proprio e, se viene a mancare, crolla l’esistenza. Quel “Dio” proprio è da intendersi ciò su cui l’uomo poggia la propria esistenza e a cui chiede vita e realizzazione personale. Raggiungere il bersaglio dipende da quale Dio viene scelto a sostegno dell’esistenza e il rischio di mancarlo è reale, concreto.
Se identifichiamo Dio secondo questa prospettiva, possiamo dire che non esistono atei, perché tutti quanti – nessuno escluso – poggiano la loro esistenza su qualcosa. Chi non crede in un Dio trascendente potrebbe, ad esempio, fondare la propria esistenza sul razionalismo, che diventa il Dio-guida.
Nell’immenso pantheon contemporaneo le divinità seduttrici che prendono il posto del Dio vero sono numerose e hanno diversi nomi: piacere, denaro, potere, le tre tentazioni di Gesù nel deserto; e ancora: carriera, successo, bellezza, beni mobili o immobili, tecnologia, moda, casa, studio, stima altrui; e poi “come vorrei che fossero” marito, moglie, figli, famiglia, amici, salute; oppure la giustizia, la politica, lo stato sociale perfetto; o ancora l’arte; e tanto altro. Tutte cose da cui l’uomo si aspetta felicità, pienezza e realizzazione, per poi rimanere, nella stragrande maggioranza dei casi, puntualmente deluso.
È evidente che queste cose non sono necessariamente cattive, ma sono ciò su cui l’uomo ripone la speranza di felicità. E quando la speranza di felicità e pienezza viene disattesa con l’avvento delle disillusioni – ossia il crollo delle illusioni – allora si può vedere nella realtà che queste cose altro non erano che idolatrie, cioè cose “rese idoli” dall’uomo. Martin Buber, filosofo, teologo e pedagogista, nel libro Il cammino dell’uomo, scrive che egli è «il più grande fabbricatore di idoli».
Invece la caratteristica più importante che ha il Dio vero, e che ci deve subito svegliare dalle mille illusioni offuscanti la nostra lucidità spirituale, è citata da Gesù nel primo versetto del vangelo di questa domenica: «Il buon pastore dà la vita per le proprie pecore» (Gv 11,10).
Il Dio vero la vita la dà, non la chiede. Se osserviamo bene, tutte le cose citate poc’anzi, di fatto, chiedono di vivere per se stesse, e la vita che in cambio ci si aspetta da esse non arriva. L’idolo chiede di morire per lui, il Dio vero invece muore per noi. La chiave discriminatoria per identificare il Dio vero su cui poggiare la nostra esistenza è tutta qui.
«Il mercenario […] vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge» (Gv 10,12). Questa figura rappresenta l’idolo, colui da cui ti aspetti fedeltà e invece ti abbandonerà quando sopraggiunge il lupo, che rappresenta il male, la tempesta, le cose che ci sovrastano e che sono più grandi di noi. Solo il Dio vero ci permette di affrontare da re e signori tutte le difficoltà che la vita ci presenta quotidianamente; non risolve i nostri problemi, non cammina al posto nostro, ma ci permette di sperimentare che con lui ogni cosa si può affrontare con la pace del cuore e la prospettiva della beatitudine celeste.
Il Dio vero è un buon padre ed è tale quando non risolve i problemi del figlio, ma quando gli insegna ad affrontarli e superarli.
Vogliamo vedere Dio?
Volgiamo lo sguardo «a colui che hanno trafitto» (Zc 12,10) e che muore per noi.