IV domenica tempo ordinario Mt 5,1-12a

 
 

– Il programma di beatitudine di Gesù –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi.

 

Gesù dimostra velocemente di non essere venuto a riscaldare minestre. Accolta l’imbeccata di Giovanni Battista in tema di pentimento, scroscia le originalissime dieci beatitudini, che danno inizio al cosiddetto «discorso della montagna». Non si devono immaginare elevazioni himalaiane. Questo discorso si chiama convenzionalmente così perché Gesù lo tenne da un monte imprecisato (Mt 5,1), mentre in Luca lo avrebbe tenuto da un luogo pianeggiante (Lc 6,17). Montagna o pianura che fosse non ha importanza.

A noi interessa il contenuto del discorso e, questa domenica, il suo esordio smagliante. Gesù parte col piede giusto, brandendo un aggettivo molto ricorrente pure nei salmi (circa 40 volte): l’aggettivo «beati». Il libro dei salmi programmaticamente inizia proprio con questo rasserenante aggettivo, che Gesù declina su altrettante situazioni di vita e di temperamento umano, nelle quali il nostro pensiero molto raso terra fatica a scorgere fattori beatificanti.
Il culmine si ha in «beati quelli che sono nel pianto». Se esiste un’anti-beatitudine è proprio l’afflizione. Le lacrime, infatti, pur essendo la più nobile secrezione umana, non sono espressione di beatitudine. Eppure Gesù è talmente spiazzante da dirle beate. Se voleva ribaltare il nostro corrente modo di pensare non poteva fare di meglio.

Lo stesso si deve dire di «beati i perseguitati per la giustizia». La persecuzione produce per lo meno disagio esistenziale, eppure Gesù vi ravvisa un fattore beatificante. Ogni beatitudine ha la sua giustificazione, introdotta da un «perché» dichiarativo cui segue un verbo al futuro, salvo che nella beatitudine prima e nona: «Beati i poveri in spirito» e «beati i perseguitati per la giustizia» perché di essi è il regno dei cieli. Dunque una nota di temperamento (povertà in spirito) e una situazione esistenziale (persecuzione per la giustizia) remunerate immediatamente, senza attendere il futuro della vita eterna.

Si sono fatti molti sforzi per comprendere questa povertà in spirito, ancor più singolare perché Luca non la specifica, limitandosi a dire «beati voi, poveri» (6,20). Ma è meglio apprezzarne l’imprecisata bellezza, senza sottoporla a illuministiche spiegazioni. Resta il fatto che poveri in spirito e perseguitati per la giustizia sono già in possesso del regno dei cieli. Sembra quasi un’anticipazione del paradiso per queste due categorie.

Il termine giustizia, ricorrente due volte (c’è anche «beati quelli che hanno fame e sete della giustizia»), merita almeno una precisazione. Di che tipo di giustizia si tratta? Gli affamati e assetati di giustizia non sono gli spiriti frementi per le immani e innegabili ingiustizie di questo mondo, ma sono coloro che si riconoscono non giusti dinanzi a Dio e ardono dal desiderio di poterlo essere. E i perseguitati per la giustizia sono i malmenati, perché accettano la giustificazione che Gesù è venuto a portare. Si può infatti teoricamente essere giusti come san Giuseppe (1,19) e pochissimi altri nei Vangeli (Simeone Lc 2,25; Giuseppe d’Arimatea Lc 23,50); e si può essere giustificati accettando il dono di salvezza che Gesù è venuto a portare. Ma questa accettazione può comportare il martirio, com’è capitato e capita a moltissimi “giustificati” da Gesù, ossia divenuti suoi discepoli nel battesimo.

Il vangelo può essere definito un programma di beatitudine le cui fattispecie meritano di essere classificate. Abbiamo infatti beatitudini a catalogo, come questa domenica; beatitudini vaganti, sprizzate sotto l’intermittenza delle occasioni, come «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11,28); beatitudini senza precisato destinatario, come quelle fin qui visitate; e beatitudini personalizzate, cucite addosso, tagliate su misura, come «e beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45); oppure: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli» (Mt 16,17).

Non soltanto insetti e vegetali si possono classificare, come ha fatto Linneo; ma anche perle teologico-letterarie disseminate nei Vangeli, raccogliendone beneficio spirituale.