La famiglia, prima comunità educante

 
 

Centallo, Assemblea inter-diocesana, Cuneo – Fossano
20 settembre 2013

Il titolo sembra un po’ scontato; tutti siamo teoricamente d’accordo nell’attribuire alla famiglia una sua irrinunciabile vocazione o missione educativa. Ciò significa che la paternità e la maternità non sono soltanto un evento biologico, come la nascita; la paternità e la maternità sono eventi permanenti, secondo modalità diverse che si esprimono nella missione educativa.
Vorrei pertanto mettere a fuoco i due termini che orientano la nostra riflessione: l’educazione, e la famiglia comunità educante.

  1. L’educazione vanta un’attualità coniugabile con alcuni
    eventi o fenomeni culturali.

Anzitutto l’educazione orienta il decennio pastorale della Chiesa italiana: dal 2010 al 2020. Per questo costituisce l’onda lunga del Convegno di Verona, celebrato nell’ottobre del 2006; laddove, il Santo Padre Benedetto XVI, ha richiamato con vigore l’attenzione di tutti su questa sfida: “Perché l’esperienza di fede e dell’amore cristiano sia accolta, vissuta e trasmessa da una generazione all’altra, una questione fondamentale e decisiva è quella dell’educazione della persona”(19 0tt0bre 2006).

Sembra addirittura che l’educazione sia sulla bocca di tutti a livello planetario e sia in compagnia di altre parole che esprimono fenomeni noti a tutti: la pace, la giustizia, la fame.
Nei 35 minuti del primo faccia a faccia del presidente americano Busch con Benedetto XVI, nel 2007, tra le sfide del mondo, accanto ai diritti umani, alla libertà religiosa, alla difesa e alla promozione della vita e della famiglia, si è fatto esplicito riferimento all’educazione delle nuove gene-generazioni.

Un’espressione, divenuta familiare a tutti, in questo decennio è l’emergenza educativa.
Parlare di “emergenza educativa” significa tentare di andare alle radici di un diffuso disagio che affligge l’ultima generazione. Molti educatori ripetono che siamo di fronte ad una generazione senza padre e senza madre.
Dire emergenza educativa significa avvertire l’urgenza di correre ai ripari di fronte a molti fenomeni negativi, come la droga, la violenza, il bullismo, che non sembra risparmiare neppure la scuola più vicina a casa.
Insomma in questa emergenza educativa sembra di entrare nel turbine di un ciclone che riempie di confusione soprattutto le tre comunità naturalmente educative:la famiglia, la scuola e la comunità cristiana.

Pensiamo al vento che soffia violento sull’Europa contro la famiglia. Sappiamo che il Comitato dei Ministri dell’Unione europea, con raccomandazione del 31 marzo 2010 ha imposto agli Stati membri di usare tutti i provvedimenti necessari per “combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, con le conseguenze dell’ambi- guità sull’omofobia e con la teoria del gender che stravolge l’antropologia, e fa a pezzi l’uomo nella sua precisa identità di persona composta di anima e di un corpo chiaramente sessuato.

I promotori del gender, però, non parlano mai della disperazione di adolescenti e di giovani che hanno intrapreso questo cammino contro natura e sono finiti nella perdita della propria identità personale che li ha portati alla schizofrenia e, per molti, al suicidio.

E nell’orizzonte del nostro contesto culturale, non è difficile riconoscere la crisi educativa come la madre di tutte le crisi.
Infatti, quando parliamo di crisi al plurale, siamo soliti evocare le diverse facce: la crisi dei valori, della vita, della famiglia, della scuola, della politica e persino della
Democrazia; spesso si arriva al dunque: alla madre di tutte le crisi, quella dell’educare. E molti osservatori sono d’accordo nel riconoscere questa“maternità”:la crisi educativa.

  1. Mi sembra importante, a questo punto, identificare o dare un nome alle radici culturali dell’emergenza educativa, che sono due confusioni: la prima riguarda il “soggetto da educare” .

Bisogna tornare alla centralità dell’educazione, d’accordo dicono molti; ma chi educare ?
Oggi c’è una sorta di appannamento e di umiliazione della persona. Nel contesto post-moderno la definizione dell’uomo come persona, come fine, come interiorità, libertà, amore, come soggetto in relazione con Dio e con gli altri, sembra aver perso la capacità di polarizzare il consenso culturale .
La persona come imago Dei (immagine di Dio), non è più la stella polare.
Il secolo XIX ha mandato in soffitta Dio; il secolo XX ha relegato in soffitta la persona, la sua immagine; il secolo XXI, il nostro, sta condannando allo stesso destino il grembo della persona: la famiglia. Anche su questa si sono abbattuti i venti di Babele. Lo stesso articolo 29 della Costituzione è messo al bando.

Ma c’è un’altra confusione, oltre la persona da educare: riguarda la stessa nozione di educazione.
Il noto studioso di fenomeni sociali, Giuseppe De Rita, parlando di emergenza educativa cita la “crisi di senso delle funzioni dell’apprendere e dell’insegnare” (Avvenire 26 maggio 2007).
Insomma, ci sono altre parole che allignano nella testa di tanti genitori o educatori a confondere le idee: si parla più volentieri di istruzione, di avviamento al lavoro, di allenamento, di aggiornamento. E usando tali parole, più o meno periferiche all’educazione, si richiama l’apprendimen-
to di un galateo sociale preoccupato dell’apparire, del fare bella figura. Siamo ben lontani dall’orizzonte del mondo interiore in cui si riflette l’ imago Dei. Nella testa di tanta gente sono stampate ben altre immagini che vengono metabolizzate in un’idea fissa: farsi un’immagine degna di successo e di considerazione sociale, con buona pace della coscienza e di Dio.
Certo nessun genitore accetterebbe di identificare il valore del figlio con le gambe da allenare; ma di fatto la polarizzazione quotidiana di tanti ragazzi, speculare a quella di tanti genitori, va in tale direzione.

  1. La domanda che ci poniamo è precisa: che significa
    educare ?

In molti genitori ed educatori non manca la consapevolezza che l’educazione sia un’arte che mira allo sviluppo globale della persona, non riducibile ad alcune attività formative, come: l’istruzione, l’allenamento, l’assistenza, la prevenzione e la socializzazione.
Il significato forte dell’educazione mira alla totalità della persona, compreso il suo mondo interiore, laddove si innestano le vere motivazioni dell’agire umano.
In un intervento alla Conferenza dell’UNESCO, il cardinal Edward Egan, arcivescovo di New York, si chiede di che cosa debba occuparsi l’educazione: “Per i Greci doveva formare soldati; per i Romani oratori; per i nazisti i promotori della razza; per i comunisti dei docili membri del partito.
Solo per i Cristiani, da 2000 anni, educare significa sviluppare la totalità dell’uomo, in ogni sfaccettatura del suo essere immagine di Dio”.
Ci sono due espressioni, nelle parole dell’Arcivescovo di New York che vorrei approfondire: la totalità della persona e l’immagine di Dio.
Pertanto il segreto di un’educazione vera dei nostri ragazzi e giovani è l’attenzione a tutto l’orizzonte della persona: in una visione antropologica che eviti le disarmonie o il mito del corpo. Di qui la cura della corporeità, come dimensione essenziale dello stare al mondo e come linguaggio relazionale con gli altri e con Dio. Il corpo non è tutta la persona, ma ne rivela l’interiorità. Il salutismo o il mito del corpo non possono far credere che l’unico sogno da coltivare consista, da parte dei ragazzi, consista nell’avere muscoli da campione.

Di qui lo sviluppo dell’intelligenza, aperta al sapere in tutte le sue forme di verità scientifica, filosofica, storica, religiosa e morale. L’amore per la verità incoraggia la ricerca e lo studio.

Oltre la corporeità e l’intelligenza, l’avventura educativa chiede una delicata attenzione all’affettività, perché non anneghi nello specchio del narcisismo adolescenziale.

Oltre l’affettività c’è la volontà, chiamata a spiccare il volo di una libertà responsabile, per dare il proprio contributo alla costruzione di un mondo più umano. Ciò significa educare ad una socializzazione positiva , costruttiva per sé e per gli altri, rifuggendo da cripto forme di esibizionismo e di egoismo.

Ed infine una persona libera e responsabile non può eludere il problema del senso della vita, che Freud definiva domanda patologica..
Un ragazzo o un giovane, proteso verso la maturità, non può soffocare le domande ultime nel frastuono della cultura dell’evasione e del vuoto. La domanda di senso per la vita costituisce la differenza umana ; e sull’onda di questa domanda connaturale con l’umano, va accompagnato quel cammino educativo dell’identità religiosa e morale di ogni persona, nel suo incontro con Dio e con gli altri “educando alla vita buona del Vangelo”, come titola il documento dell’Episcopato italiano per il decennio 2010–2020.

Ma l’Arcivescovo di New York non richiama solo la totalità della persona nell’impresa educativa; usa una seconda parola importante: “immagine di Dio”. L’immagine evoca il volto.
“All’inizio dell’essere cristiano, non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona” (così dice in modo chiaro Benedetto XVI, nella Deus caritas est); per questo possiamo ben dire che la pedagogia cristiana è pedagogia del modello, rivelativa del volto di Gesù. La norma “devi” non affascina; la persona sì.
L’educazione cristiana non invoca solo una pedagogia dei valori, ma la pedagogia del modello: “Imparate da me” dice Gesù” (Mt 11,29). Il fine da perseguire, pertanto, nell’educazione è quello di edificare una personalità matura sul modello del “novum hominem” (Ef 4, 24) , l’uomo nuovo modellato su Gesù.
La pedagogia del modello si riflette nella vita dei genitori e degli educatori. La relazione educativa più efficace è quella fondata sul vedere. I testimoni si vedono, non hanno bisogno di chiacchiere.

  1. La famiglia, prima comunità educante

Diciamolo subito: la famiglia di fronte alla vita che germoglia dal suo grembo, non è seconda a nessuno: né alla scuola, né alla comunità cristiana, né tantomeno alla società; lo dice la più sana e onesta ragione, libera da contraffazioni ideologiche.
Lo afferma, per il credente, la fede: la quale vede nell’educazione la consegna di Dio, la continuazione della creazione. Essa non è solo affidamento all’uomo e alla donna dell’atto generativo, ma è impegno a compiere l’opera, portando alla pienezza di vita il progetto di umanità sbocciato nel grembo materno, frutto di un amore senza riserve.

Per questo, da parte dei genitori è importante guardarsi da due rischi: il riduzionismo educativo e l’esproprio della missione educativa.
La più elementare sapienza pedagogica suggerisce ai genitori di rispettare la verità dei figli come persone, assetate di vita, non riducibile al soddisfacimento dei bisogni immediati.
I figli non hanno solo i muscoli da allenare, un corpo da esibire, bisogni da soddisfare. E’ purtroppo vero che la cultura egemone tende ad esasperare i bisogni, riconoscendo nei giovani dei consumatori, ignorando il loro desiderio di felicità.
La confusione tra bisogni e desideri, tra piacere e felicità, è l’inganno più insidioso che il mondo degli adulti trama contro le nuove generazioni; inganno denunciato dal Santo Padre nel suo intervento al convegno della diocesi di Roma, l’11 giugno 2007: “L’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere”. Soddisfatti i bisogni, la partita è finita.

Il secondo rischio è la delega, che apre la via all’esproprio educativo.
Si sa che l’educazione è un’impresa ardua, perché rimette in discussione l’impostazione di vita dei genitori; decide la qualità della convivenza familiare, determina la scelta dei “valori base” su cui si gioca l’esistenza.
L’esproprio educativo è piuttosto diffuso. Sembra che lo spazio domestico sia pedaggio di altre scuole: quella dei banchi, ma soprattutto la comunicazione via internet, la maga Circe del nostro tempo, via face book, youtube, twtter e via discorrendo. E così la famiglia è messa fuori gioco.

5 – Educare in famiglia: questione di amore

La domanda cruciale pertanto ha una precisa tonalità pedagogica: come la famiglia può svolgere il suo primato educativo?
Il Santo Padre Benedetto XVI al Convegno diocesano di Roma (11 giugno 2007), dice
che l’educazione è una questione di amore; “ha bisogno di quella vicinanza che è propria dell’amore” (Benedetto XVI, disc. citato)

La famiglia pertanto è chiamata ad infrangere precise distanze educative: la delega, il permissivismo, la sfiducia, la rassegnazione fatalistica. Il segreto dell’educare è il cuore. Ha ragione dunque il Presidente della Conferenza dell’UNESCO, Jafaar Bin Hassan, quando afferma: “Il cuore delle madri è il primo libro dei figli” (Avvenire 10 nov. 2006).
L’uomo non può vivere senza amare e senza essere amato. Scrive Ugo Borghello nel suo ultimo libro “Saper di amore: ”Non solo Dio è amore, ma anche l’uomo è amore! E se viene privato dell’amore, può arrivare a perdere anche la ragione. Ha provocato infatti più vittime, follie e disperazione, la distruzione della famiglia in questi ultimi decenni che le stesse due guerre mondiali, tanto è atroce essere privati dell’amore”. ( Ed Ares Milano 2013)

Ma la vicinanza propria dell’amore, ha il suo linguaggio per restituire alla famiglia la sua missione educativa. Anzitutto occorre sintonizzare le antenne: per ascoltarsi. Quando i genitori si mettono in ascolto, i figli intuiscono di non essere relegati dopo il lavoro, dopo gli interessi, dopo l’ennesimo banale varietà televisivo: sanno di essere amati. La prossimità educativa incomincia ad aprire le finestre dell’anima.

L’ascolto genera il dialogo. Nel dialogo, le generazioni si guardano, i cuori si aprono e due mondi lontani si possono incontrare e crescere insieme.
Il dialogo non è sempre finalizzato a convincere l’altro; la dinamica dell’incontro favorisce la conoscenza reciproca, la stima, e permette di entrare nella logica del donare e del ricevere.

Pertanto il dialogo è rispetto dei ruoli, del “dislivello educativo” ; il quale viene meno quando i genitori cedono alla tentazione del giovanilismo, dell’assumere toni impropri, incompatibili con la propria età ed esperienza di vita; e soprattutto incompatibili con l’autorevolezza che è il vero segreto dell’efficacia educativa.
Nel dialogo si affacciano le motivazioni portanti delle esperienze che si propongono; soprattutto quelle che aprono al mistero di Dio. L’arte di motivare è essenziale all’educazione.
Non si può ignorare che l’attuale contesto ha mandato in frantumi la scala dei valori; non c’è più nulla di scontato. Sembra dominante l’etica utilitaristica, con il suo squallido imperativo: è bene ciò che è utile. E nel suo orizzonte non c’è Dio, che invece è amore.

Ma il circolo virtuoso dell’educare trova il suo vigore convincente nella testimonianza, la quale non usa astratti imperativi kantiani – tu devi! – , ma instaura la pedagogia amorevole dell’indicativo: – noi vogliamo – ; in cui appare evidente la convincente prossimità fra genitori e figli, in un comune cammino di crescita verso la pienezza di umanità. Perché, si sa: le parole illuminano, l’esempio convince.
Come annota ancora Giuseppe De Rita, la famiglia è passata da “istituzione della normatività a istituzione della relazionalità” (Avvenire, 26 giugno 2007): e nel gioco delle relazioni intra-familiari, il segreto capace di educare è l’amore, anima del dialogo.

  1. Tre importanti attenzioni pedagogiche e pastorali

Come risolvere la contraddizione tra il primato educativo teorico della famiglia e la sua emarginazione di fatto?
Quando affermiamo il primato educativo della famiglia, tutti siamo d’accordo.
Ma di fatto, il più delle volte la comunità familiare è definita in crisi, latitante, spiazzata nel suo compito educativo; perché l’impresa educativa non si risolve in qualche raccomandazione moralistica; ma chiede alla famiglia la consapevolezza di una missione sapiente e costante.

A chi tocca, in concreto, l’impegno di restituire alla famiglia il suo primato?
Credo di poter dire che la coscienza del primato educativo della famiglia è ancora vigile nella comunità cristiana. Pertanto è la comunità cristiana chiamata a collocare in posizione strategica il primato educativo della famiglia. Se la comunità non ricupera la consapevolezza del primato pastorale della famiglia, va in frantumi anche il primato pedagogico.

Una seconda attenzione pedagogica e pastorale riguarda l’età evolutiva. Ci sono, infatti, due passaggi delicati e problematici nell’età evolutiva dei figli, che sollecitano una cura sapiente e vigilante da parte dei genitori.
Il primo passaggio è quello dell’infanzia: Attenzione all’agnosticismo dell’infanzia !
La prima età che necessita di un’attenzione educativa è quella che va dai primi anni fino all’età scolare. Questo segmento della vita non ha bisogno soltanto di nutrire la fantasia, ma di illuminare la vita con la presenza di Dio. Di qui l’importanza di trasmettere in famiglia una testimonianza bella della presenza di Dio, evitando il perfido gioco di trasformare, ad esempio, la verità del Natale con la sua fantasia e la sua fantasia nella verità del Natale (Babbo natale è la verità; Gesù bambino è fantasia)

C’è poi una seconda curva nell’età evolutiva: quella della preadolescenza, in cui i figli pongono le prime serie domande alla vita, le quali rivelano l’insorgere dell’età filosofica, ed esprimono il desiderio di altre appartenenze e amicizie. Questo richiede sapienza e attenzione da parte dei genitori, disponibilità al dialogo, aprendo con i figli nuovi orizzonti.
Concludendo: dopo tutto questo discorso voi potreste pensare che il vescovo o il prete parlano volentieri di famiglia “comunità educativa” ; ma forse non ne conoscono le difficoltà e i problemi. In realtà la fede che ci qualifica come discepoli del Signore assegna a tutti noi questa missione educativa perché tutti siamo chiamati ad amare i figli delle nuove generazioni e tutti possiamo diventare educatori ad una vita pienamente umana con l’aiuto di Dio che ci ha creati a sua immagine e somiglianza.