La testimonianza di S. Bartolomeo nell’anno della fede

 
 

Borgomanero, festa patronale, 24 agosto 2013

  1. Anche in tempo di secolarismo diffuso i santi aggregano ancora; le feste dei patroni sono appuntamenti interessanti sia per i credenti che per i non credenti; ma pure la festa non manca di suscitare sentimenti contrastanti: da una parte ci fa percepire la vicinanza dei testimoni vissuti in altri tempi; almeno per san Bartolomeo ci siamo tutti, avvertiamo un clima di famiglia; d’altra parte ci è dato di percepire il declino delle tradizioni e soprattutto di misurare la distanza da quella “misura alta che si chiama santità”.

Insomma i Santi sono vicini e lontani. Anche le tradizioni della fede vengono talora indebolite da celebrazioni sempre meno intrise di Vangelo, e lontane dal significato originario. La festa rischia il tono della sagra, in cui si dà sfogo alla dimensione ludica, folcloristica e culturale.

L’essenziale della festa cristiana, invece, è la fede nel Cristo risorto; per questo non è fuori luogo ricuperare il significato educativo della festa, come condivisione di una fede popolare, ricordando coloro che hanno scritto con la vita il famoso quinto vangelo.
Ci incoraggia, in questa direzione della comunità in festa, anche la memoria liturgica dei Santi.

Per questo risulta stimolante un interrogativo: il papa Benedetto XVI ha indetto per la Chiesa universale, l’anno della fede, e si chiede: quale ne è l’obiettivo?
“L’anno della fede, dice il Papa, mira ad un’autentica e generosa conversione a Cristo, l’unico Salvatore del mondo”.

  1. Le patologie della fede, oggi, stanno sotto gli occhi di tutti.
    Papa Francesco ha denunciato la globalizzazione dell’indifferenza. Infatti la cultura vincente va ripetendo che il senso della vita, il suo scopo è il miraggio dell’immediato: la salute, il mito dello stare bene; la smania della carriera, il successo. Tutto ciò che sta dentro questo orizzonte è opinabile; pure la fede è un’opinione, una sorta di filosofia elementare, da tempo nota come “oppio del popolo”.

La filiazione dell’indifferenza nei confronti di Dio è l’agnosticismo: Dio non interessa, non ha attinenza con la vita, ha solo la dignità di un’opinione. L’agnosticismo non arriva in età adulta; è già presente nel bimbo di tre o quattro anni, il quale identifica il Natale con babbo Natale e non sa chi è Gesù.
Papa Benedetto denuncia la scissione pratica tra fede e vita e parla di relativismo etico. L’uomo non ha bisogno di un fondamento trascendente.

Le forme patologiche della fede si rivelano nella stessa vita quotidiana; pensiamo alle incoerenze tra Vangelo e vita, alle idolatrie delle cose, all’ incapacità di rendere visibile una presenza significativa del Vangelo nel nostro ambiente quotidiano.

Quando papa Benedetto parla di conversione, dice che la fede non va chiusa in sacrestia; la fede non è una filosofia, una questione secondaria rispetto ad altre; è la chiave interpretativa della vita: senza questa chiave non si entra nell’orizzonte della vita vera e della sua pienezza. E il linguaggio più convincente e più credibile della fede è la vita dei santi. Ecco perché oggi, celebrando la festa patronale, dobbiamo avere il coraggio di confrontarci con i Santi, con san Bartolomeo, il nostro patrono, che la tradizione consegna nell’immagine del suo crudele martirio.

  1. Quando la parola di Dio ci sollecita a fissare lo sguardo sui testimoni del Vangelo, ci ricorda che la pedagogia cristiana è pedagogia del modello: al cristiano non si propongono solo dei valori interessanti per una vita onesta, ma un modello forgiato alla scuola di Gesù.
    Giovanni, nel suo vangelo, lascia immaginare due volti di san Bartolomeo: al capitolo 21 Giovanni presenta l’apostolo con il nome di Natanaele, che figura tra i sette discepoli che si ritrovano dopo il fallimento del venerdì santo; e forse sogna, come Pietro e amici, il ritorno alla vita di sempre, non senza la sofferta delusione per la straordinaria e drammatica esperienza vissuta con il rabbi di Nazareth.

Nel primo capitolo, invece, l’amico Giovanni racconta l’esperienza vocazionale di Natanaele di Cana e nel racconto si ravvisano tre passaggi interessanti del cammino di fede:
Natanaele passa dallo scetticismo: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”, alla lealtà interiore della ricerca, alla forte e chiara professione della fede: “Rabbì, tu sei il figlio di Dio, tu sei re d’Israele” (Gv 1,38).
La fede, pertanto, nell’esperienza raccontata da Giovanni è essenzialmente incontro: prima tra Filippo e Gesù; un incontro che diventa in Filippo desiderio di comunicazione; poi incontro tra Filippo e Natanaele, che diventa proposta vincente sullo scetticismo di Natanaele; e finalmente incontro tra Gesù e Natanaele.

  1. Se Giovanni ci presenta l’esperienza di fede come incontro con il Signore che cambia la vita, sino a diventare seq uela, la lettera agli Ebrei ci dice come va raggiunta la maturità della fede adulta.
    Soprattutto nel cammino di fede c’è un guado assolutamente necessario per crescere nel discepolato, nella vita cristiana: la croce, la sofferenza, la prova. Questa non manca mai nella vicenda dei santi. Né diventa possibile la prova suprema del martirio come imitazione di Gesù, se viene a mancare il rodaggio della prova che tutti sperimentiamo.
    E le prove che si incontrano nel quotidiano hanno un nome preciso, concreto: la malattia, la fatica del dialogo in famiglia, la mancanza di lavoro, la crisi dai molti volti.
    La prova nel cammino di fede, secondo la lettera agli Ebrei, non ci chiede solo un certo volontarismo; ci ricorda la misteriosa pedagogia di Dio padre: che non ci lascia soli, né tantomeno, ci abbandona: Dio ci accompagna con l’esortazione, con la correzione, perché non ci perdiamo d’animo. E’ davvero singolare l’agire di Dio nei confronti dei suoi figli, “Perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza” (v.6).
    Non è facile comporre insieme le due parole della pedagogia della fede: la sferza e l’amore, dice la lettera . Eppure la tristezza, il guado della correzione, arreca un frutto prezioso, la pace.
    Solo così la fede genera la “misura alta della vita cristiana”. Senza dimenticare che la fede adulta, non è una vetta che si scala con la velocità dei fuochi d’artificio; ma una vetta che si raggiunge con la grazia, che dona forza e vigore soprattutto nella nostra debolezza: “Rinfrancate le vostre mani cadenti” dice l’autore della lettera agli Ebrei. (Ebr 12) “Il Signore corregge chi ama”.
  2. Lumen fidei: la fede come luce

Il Santo Padre ha titolato la sua prima lettera enciclica con queste due parole: Lumen fidei.
Sono molte le metafore, le immagini per dire la fede: ma una ha suscitato dentro di me un cordiale consenso quando ho avuto tra le mani l’enciclica del papa Francesco per la Chiesa universale.
Il titolo è di una straordinaria efficacia nell’esprimere la fede in questo tempo di confusione e di diffusa mediocrità: lumen fidei, la fede è soprattutto luce.
Sono molti, infatti, gli spazi umani e sociali in cui c’è urgente bisogno di fare luce. Un’esistenza senza luce, è tenebrosa; una vita senza senso è a rischio.
In Europa, secondo un autore autorevole, la causa principale del suicidio tra i giovani è la vita senza senso. Dietro l’angolo di una vita che vive nel buio, c’è il mercato della droga o della violenza, frequente soprattutto contro la donna.
Per questo il santo Padre ricorda che la fede “accompagna tutte le età della vita” (53).

La fede illumina la vita sbocciata nel grembo materno e le dà un nome: quella vita è il capolavoro dell’amore creativo di Dio e dell’amore di due sposi, un capolavoro che genera amore. La luce della fede e della ragione fa riconoscere in quella creatura un volto. L’assenza di luce giustifica la disinvolta strage degli innocenti e il grembo materno invece di essere il baluardo più sicuro della vita che aspetta la luce, diventa la spada di Erode.

Ma se, come dice il Papa “la fede accompagna tutte le età della vita” (53), “che cosa diventa la vita?”
Era questa la domanda posta ad Alberto Moravia durante un telegiornale. Lo scrittore ateo diede una risposta squallida: “La vita è un fatto biologico: si nasce e si muore come un fiore, come un albero, come un animale.” Questa è una vita senza luce, al buio, manca l’essenziale: il lumen fidei.
Il mistero della vita, illuminato dalla fede, ha un nome preciso: essa è una chiamata, una vocazione, una chiamata all’amore da discernere e da accompagnare. La pienezza di umanità diventa possibile in questo crocevia misterioso tra il progetto di Dio con la sua luce e la risposta umana nella luce della fede; la pienezza di umanità si trova tra il disegno di Dio e la collaborazione umana.
Per questo la domanda corretta da porre soprattutto nella giovinezza, non è: “che cosa farò nella maturità”; ma: “ Signore, che cosa vuoi che io sia?”.
Il grande valore della vita, la sua dignità, è il significato che le attribuiamo alla luce della fede.
Per questo scrive il Papa: “In famiglia, la fede accompagna tutte le età della vita a cominciare dall’infanzia” (53).
“ Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, dice ancora il Papa, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata” (Lumen fidei 55).
Questa è la grande consegna che ci lascia la testimonianza di san Bartolomeo.