L’ABC della Fede alla scuola di Maria
I. LA FEDE
- Opera di Dio
Il Papa Benedetto XVI nella lettera apostolica “Porta fidei” ripropone prontamente la risposta data da Gesù a uno degli interrogativi espressi dalla folla a Cafarnao: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?» (Gv 6, 28). La risposta di Gesù è: «Questa è l’opera di Dio che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6, 29) (n. 3).
Così la Fede può essere qualificata dono (n. 10) e mistero in quanto
– come conoscenza «introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio»,
– «quando si crede si accetta liberamente tutto il mistero della fede»,
– «è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore»,
– «la ricerca….muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio».
Mistero, opera di Dio, dono divino, sono vocaboli sinonimi nel rispondere all’interrogativo «che cosa è la Fede?»,
- La fede unica relazione vitale
Benedetto XVI utilizza poi per indicare la fondativa e costitutiva «consistenza» relazionale della fede tutta un’altra serie di vocaboli: ricerca, incontro, rapporto/relazione, percorso, e anche via, strada, il cammino, la porta, financo compagnia, sguardo nuovo, crescita.
– «Tante persone….sono comunque in una sincera ricerca del senso ultimo e della verità definitiva sulla loro esistenza e sul mondo»,
– «questa ricerca è un autentico “preambolo” alla fede» (n. 10),
– «Tale esigenza costituisce un invito permanente, inscritto indelebilmente nel cuore umano, a mettersi in cammino per trovare Colui che non cercheremmo se non ci fosse già venuto incontro» (n. 10).
– «Proprio a questo incontro la fede ci invita e ci apre in pienezza» (n. 10),
– «…possa questo Anno della fede rendere sempre più saldo il rapporto con Cristo Signore»,
– «(attraverso gli scritti di Sant’Agostino) trovare il giusto percorso per accedere alla Porta della fede» (n. 7),
– «…delineare un percorso che aiuti a comprendere in modo più profondo non solo i contenuti della fede, ma insieme a questi anche l’atto in cui decidiamo di affidarci totalmente a Dio, in piena libertà» (n. 10),
– inoltre la Fede, «Vedere in Gesù Cristo, dunque è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza» (n. 3),
– «….muove le persone sulla strada che conduce al mistero di Dio» (n. 10),
– «…l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggior evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo» (n. 2),
– «attraverso quella porta (della fede cfr. At 14, 27) comporta immettersi in un cammino»,
– la Fede «è compagnia di vita che permette di percepire con sguardo sempre nuovo le meraviglie che Dio compie per noi» (n. 15),
– «solo credendo, quindi la fede cresce e si rafforza…abbandonarsi in un crescendo continuo, nelle mani di un amore che si esperimenta sempre più grande perché ha la sua origine in Dio» (n. 7).
- La fede coinvolge tutte le dimensioni della persona
Proponiamo due testi biblici: Rm 10, 10 e At 16, 14 e li commentiamo così: «Il cuore indica che il primo atto con cui si viene alla fede è dono di Dio e azione della grazia che agisce e trasforma la persona fin nel suo intimo» (n. 10). E continua sul secondo testo: «la conoscenza dei contenuti del credere non è sufficiente se poi il cuore, autentico sacrario della persona, non è aperto dalla grazia che consente di avere occhi per guardare in profondità e comprendere che quanto è stato annunciato è la Parola di Dio» (ibid).
Inoltre «la fede è decidere di stare con il Signore per vivere con Lui. E questo «stare con Lui» introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede proprio perché è atto di libertà esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede…(Pentecoste) dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa» (ibid).
«la fede infatti cresce quando cresce come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre infatti il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli» (n.7).
« …questo Anno susciti in ogni credente l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza» (n. 9).
Conclusivamente possiamo ribadire: è fede che spera e che ama; opera del Signore (Padre, Figlio, Spirito) che coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni vitali, suscitando una risonanza di senso e di gioia, una risposta di adesione, una generosa collaborazione (sinergia con Dio, con Gesù che si dona a noi).
II. MARIA
Come la Sacra Scrittura comincia con Abramo (in realtà la lettera agli Ebrei, proprio in merito alla fede inizia con Abele: Eb 11, 4; cfr. Gn 4, 4), Benedetto XVI ci aiuta a riconoscerci e a proporci: credenti a cominciare da Maria (n. 13).
È importante vedere una singolare inclusione tra Abramo e Maria: rispettivamente paternità e maternità universale; legame unico, radicale, fondativo in Dio; destinatari e attestanti in modo eminente l’agire di Dio che «benedice» e sono resi «benedetto», «benedetta». A tutto questo corrisponde l’ascolto, l’obbedienza, la capacità di “visitare”, accogliere, riconoscere, conservare nel proprio cuore, amare. Ripropongo i testi biblici elencati dal Papa: Lc 1, 38; 1, 46-55; 2, 6-7. 19. 51; Mt 2, 13-15; Gv 11, 26-27; At 1, 14; 2, 1-4.
III. MARIA IN FAMIGLIA
All’inizio del Vangelo di Matteo (cc. 1-2) e del Vangelo di Luca (cc. 1-2) ci sono proposte le due figure determinanti, nel disegno di Dio, perché Gesù, il Figlio, possa «farsi carne» (cfr. Gv 1,14). Certamente la loro importanza e la loro “presenza” ancor oggi tra noi, e lungo il corso di tutta la storia della Chiesa e dell’umanità tutta, è dovuta all’apertura e al rapporto con il Figlio Gesù, il Signore. Ma è orientativo e spronante per ogni coppia cristiana rilevare, pur nei sobri accenni propostici dai due evangelisti, le caratteristiche che qualificano il rapporto tra loro due.
Ciò che balza vistosamente all’attenzione leggendo i capitoli richiamati, è il rapporto con la Parola di Dio. E’ la Parola che è prioritaria; che ha un primato d’intervento, di azione, di orientamento di vita. Così è per Maria: visitata e annunziata dal messaggero divino (Lc 1,30 ss); lodata e annunziata dalla cugina Elisabetta (Lc 1, 42ss); annunziata dai pastori (Lc 2, 17); dall’anziano Simeone (Lc 2, 34); da Gesù stesso, coinvolgendo anche Giuseppe (Lc 2, 49). E’ significativo che due volte sia richiamata, quasi a modo di ritornello l’espressione: «E Maria da parte sua serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19. 51).
Così Giuseppe, colpito e sofferente nelle due dimensioni fondamentali della vita umana (l’amore e il lavoro), è annunziato, come in sogno, dalla Parola di Dio che lo illumina, lo orienta, lo conferma rafforzandolo (Mt 1,20; 2, 13; 2, 19-20).
Per la vita coniugale umano-cristiana il rapporto con la Parola di Dio, che nutre, dà forza, nella quale Gesù stesso si dona, e lo Spirito Santo opera, non è forse il rapporto fondante e configurante?
Il Sacramento del matrimonio spinge a nutrirsi della Parola e a vivere di essa, giacché il suo specifico è proprio vivere l’amore coniugale radicati in Gesù, con la Sua presenza e compagnia, con il Suo Dono corroborante. Non è fuori luogo constatare come la Parola di Dio è dono, proposta, sfida e risorsa nelle quali ci tocca camminare e impegnarci; e che nella vita delle coppie cristiane giovani e adulte si deve fare un buon spazio programmato alla Parola di Dio, proprio per il senso della vita coniugale e per la felicità possibile.
Un’ulteriore caratteristica nel rapporto tra Maria e Giuseppe è la stima e il rispetto, sopra ogni dubbio e sofferenza.
Scrive l’evangelista Matteo: «Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto» (Mt 1, 19). La sofferenza nell’affetto, le condizioni concrete non immediatamente spiegabili, non debbono mai mettere in discussione radicale un amore espresso con la stima e il grande rispetto. Anzi, c’è vera vita coniugale quando l’amore cresce di giorno in giorno, con il crescere della stima che l’apprezzamento e la conoscenza, sempre più profonda, dei doni che il Signore ha dato all’altro coniuge, arricchiscono. Ci scrive Paolo: «Gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12, 10).
La responsabilità come disponibilità, come misericordia, come collaborazione è poi rilevante. Maria e Giuseppe si sono sposati, si sono accettati nella condizione reciproca in cui si trovavano (Maria incinta, Giuseppe con l’interpretazione sia della sua condizione sia della legge divino-mosaica proposta dal messaggero divino). Si sono incamminati nella vita assumendone gli obblighi, i doveri e vivendo le circostanze in un disegno d’amore. Alla luce di questa responsabilità condivisa possiamo leggere:
– la visita di Maria alla cugina Elisabetta (Lc 1, 39-56);
– l’andata e il ritorno dall’Egitto, con assunzione responsabile di Giuseppe (Mt 2, 13-15; 2, 19-23);
– l’espressione di Maria nel ritrovamento di Gesù al Tempio (Lc 2,48): «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».
In particolare lo stile d’amore responsabile di Maria e di Giuseppe attestano sette qualità dell’amore umano-cristiano che sono dono prezioso per gli sposi cristiani di ogni tempo:
– la tempestività nella decisione per opere d’amore (Lc 1,39: «Maria… raggiunse in fretta una città di Giuda»: Mt 2,14: «Giuseppe destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto»);
– il saluto e accoglienza cordiale («Lc 1,40: «Maria.. salutò Elisabetta… Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò…»; Mt 1, 24: «Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa»);
– un dialogo che riconosce il positivo e i doni che ci sono nell’altra persona: (cfr. Lc 1, 42. 45: «Benedetta tu fra le donne… E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (cfr. Mt 1, 25);
– un dialogo che si apre alla preghiera (cfr. in particolare il Magnificat: Lc 1, 46-55; l’adesione costante “obbediente” di Giuseppe alla Parola);
– la gioia e la durata, come costanza e concreta dedizione (cfr. Lc 1, 41, 44, 46. 56; Mt 2, 10; 2,23).
Per Maria e Giuseppe è un matrimonio e un rapporto di coppia che sa misurarsi con il dolore previsto e annunciato (Lc 2,35) e vissuto affettivamente e fisicamente (Mt 1,18-19; 2, 14-15.22) con coraggio, con lo sguardo verso il futuro, con responsabilità, sempre sorretti dalla Parola del Signore.
Sono i due grandi testimoni del volto vero dell’amore e della felicità possibile.
Infine è un rapporto coniugale ricco di vita, relazionale (famiglie di origine, cugine e cugini, pastori, magi, profeta e profetessa al Tempio, parenti, compaesani: Lc 1-2; Mt 1-2), con motivi di gioia e di sofferenza, ben vissuti grazie alla fede nella Parola.
Inoltre è un rapporto che in modo straordinario ed eccezionale, vive sì l’amore più intenso possibile, pieno di disponibilità, ma anche con una castità perfetta consacrata (Lc 1, 34; Mt 1, 25).
E’ questo modo di essere vero sposo e vera sposa tenerissima e casta che ci interpella profondamente. O è paradosso che rasenta l’assurdità e il disumano; o è modalità di vita e di dono che aiuta ogni vero grande amore coniugale a ridimensionare e a riqualificare la grande portata dell’esercizio della sessualità genitale.
Si apre una proposta di vita che può davvero donare la felicità possibile in un cammino che solo la fede nutrita dalla Parola può donare e concretamente far esperimentare, in una grande libertà spirituale.
Non è quindi senza un grande fondamento e con una esemplarità efficace per ogni nostra coppia cristiana, che la Chiesa ci propone come protettori, presenze amiche che si affiancano a noi con Gesù, Maria e Giuseppe: la santa famiglia di Nazareth.
. E Maria prolungherà nella propria vita, quanto ha imparato dal suo figlio Gesù e dal suo sposo Giuseppe, il falegname “giusto”:
– nel matrimonio di un’altra famiglia conosciuta (v. Gv 2, 1-10),
– nel modo di agire di Gesù, senza neppure il tempo di mangiare (Mt 3, 30-31), spinta dai parenti, ma pienamente abbandonata alla volontà di Dio;
– nel collaborare e offrire il proprio soffrire e nell’accogliere l’umanità tutta, in una unica straordinaria maternità, alla morte del Figlio (Gv 19, 25-27);
– nel costruire la “Chiesa” in una divina-materna comunione, in preghiera con i “chiamati” dal suo figlio, rinnovati nella “nuova” parentela (At 1, 14).
IV. L’INSEGNAMENTO DI PAPA FRANCESCO
Nella parabola del seminatore, san Luca riporta queste parole con cui Gesù spiega il significato del “terreno buono”: «Sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza» (Lc 8,15). Nel contesto del Vangelo di Luca, la menzione del cuore integro e buono, in riferimento alla Parola ascoltata e custodita, costituisce un ritratto implicito della fede della Vergine Maria. Lo stesso evangelista ci parla della memoria di Maria, di come conservava nel cuore tutto ciò che ascoltava e vedeva, in modo che la Parola portasse frutto nella sua vita. La Madre del Signore è icona perfetta della fede, come dirà santa Elisabetta: «Beata colei che ha creduto» (Lc 1,45).
In Maria, Figlia di Sion, si compie la lunga storia di fede dell’Antico Testamento, con il racconto di tante donne fedeli, a cominciare da Sara, donne che, accanto ai Patriarchi, erano il luogo in cui la promessa di Dio si compiva, e la vita nuova sbocciava. Nella pienezza dei tempi, la Parola di Dio si è rivolta a Maria, ed ella l’ha accolta con tutto il suo essere, nel suo cuore, perché in lei prendesse carne e nascesse come luce per gli uomini. San Giustino Martire, nel suo Dialogo con Trifone, ha una bella espressione in cui dice che Maria, nell’accettare il messaggio dell’Angelo, ha concepito “fede e gioia”. Nella Madre di Gesù, infatti, la fede si è mostrata piena di frutto, e quando la nostra vita spirituale dà frutto, ci riempiamo di gioia, che è il segno più chiaro della grandezza della fede. Nella sua vita, Maria ha compiuto il pellegrinaggio della fede, alla sequela di suo Figlio. Così, in Maria, il cammino di fede dell’Antico Testamento è assunto nella sequela di Gesù e si lascia trasformare da Lui, entrando nello sguardo proprio del Figlio di Dio incarnato.
Possiamo dire che nella Beata Vergine Maria si avvera ciò su cui ho in precedenza insistito, vale a dire che il credente è coinvolto totalmente nella sua confessione di fede. Maria è strettamente associata, per il suo legame con Gesù, a ciò che crediamo. Nel concepimento verginale di Maria abbiamo un segno chiaro della filiazione divina di Cristo. L’origine eterna di Cristo è nel Padre, Egli è il Figlio in senso totale e unico; e per questo nasce nel tempo senza intervento di uomo. Essendo Figlio, Gesù può portare al mondo un nuovo inizio e una nuova luce, la pienezza dell’amore fedele di Dio che si consegna agli uomini. D’altra parte, la vera maternità di Maria ha assicurato per il Figlio di Dio una vera storia umana, una vera carne nella quale morirà sulla croce e risorgerà dai morti. Maria lo accompagnerà fino alla croce (cfr. Gv 19,25), da dove la sua maternità si estenderà ad ogni discepolo del suo Figlio (cfr. Gv 19,26-27). Sarà presente anche nel cenacolo, dopo la Risurrezione e l’Ascensione di Gesù, per implorare con gli Apostoli il dono dello Spirito Santo (cfr. At 1,14). Il movimento di amore tra il Padre e il Figlio nello Spirito ha percorso la nostra storia; Cristo ci attira a Sé per poterci salvare (cfr. Gv 12,32). Al centro della fede si trova la confessione di Gesù, Figlio di Dio, nato da donna, che ci introduce, per il dono dello Spirito Santo, nella figliolanza adottiva (cfr. Gal 4,4-6).
+ Luciano Pacomio