Lo Spirito di Dio abita in noi
– a cura di Mons. Sergio Salvini –
Il passo evangelico di questa domenica è ancora un testo dei discorsi di addio, pronunciati da Gesù alla fine dell’ultima cena con i suoi, prima di essere arrestato nel giardino degli ulivi. Dopo aver consegnato il comandamento nuovo, il comandamento dell’amore – il Vangelo di domenica scorsa – questa volta Gesù annuncia il suo uscire fuori da questo mondo per andare verso il Padre. E suscita alcune domande tra i discepoli, che gli chiedono di spiegarsi meglio: «Signore, perché tu ti manifesti a noi credenti e non ti manifesti pubblicamente al mondo, a tutti gli uomini?».
L’interrogativo è anche nostro. Anche se abbiamo fede nel Signore, siamo incapaci di aderire totalmente al Signore e ci chiediamo perché abbia scelto l’umiltà, la piccolezza, uno stile di voluto nascondimento; perché non abbia cercato il consenso, servendosi dei mezzi a lui disponibili per ottenere successo.
Quest’ottica, la stessa dei fratelli di Gesù, avrebbe costretto gli uomini a credere in lui attraverso l’evidenza dello straordinario. Egli, invece, la pensa in modo diverso, ribadendo ciò che conta: non l’ampiezza del consenso, “lo share degli ascolti”, ma il rapporto personale d’amore con lui. Perché la vita cristiana è «vita nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3): questo è lo straordinario, ma non visibile agli occhi del mondo; è decisivo per la vita e la salvezza, ma non verificabile da parte degli altri; è verissimo, anzi sperimentabile alla luce della fede.
Gesù è nel cuore del credente che ama sempre, nel cuore di colui che adempie il comandamento nuovo. Ecco perché gli fa dono dello Spirito santo, che ha funzione di consolatore, difensore, di «chiamato accanto» al credente. Lo Spirito ricorda tutto ciò che Gesù ha detto e fatto, rendendolo presente nella sua comunità e svolgendo la funzione di maestro interiore, capace di illuminare e guidare la vita di ogni cristiano.
Nel corso della vita terrena di Gesù, i discepoli avevano il suo insegnamento diretto, ma spesso non lo capivano perché il loro cuore non era in grado di accogliere le sue parole. Quando lo Spirito si farà presente nel cuore dei discepoli, allora scomparirà «il cuore indurito», perché il maestro interiore lo renderà «capace di ascolto», renderà il cristiano in grado di realizzare le parole di Gesù.
Insomma, il cristiano non è mai solo perché, grazie allo Spirito santo, è dimora, casa, tempio della presenza di Dio. Di più: lo Spirito, che rende possibile l’abitazione del Padre e del Figlio nel cuore del credente, è lo stesso che ci rende consapevoli del dono lasciatoci da Gesù: la sua pace, cioè la vita piena da lui vissuta, la vera vita. Benedetto XVI, all’inizio del suo ministero di supremo pastore della Chiesa, affermava: «La volontà di Dio, che noi accogliamo, non è per noi un peso esteriore che ci opprime e ci toglie la libertà. Conoscere ciò che Dio vuole, conoscere qual è la via della vita: questa è la nostra gioia… Chi fa entrare Cristo non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande!».
È consolante che Gesù abbia pregato per noi proprio per questo, per la nostra testimonianza coerente: «Io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità». È lo Spirito che fa innamorare di un cristianesimo che sia visione, incanto, fervore, poesia, testimonianza viva. Senza lo Spirito la storia di Gesù – compresa la sua risurrezione – sarebbe rimasta chiusa nel passato, non un evento perennemente contemporaneo.
Lo Spirito è la continuità tra il tempo di Gesù e il tempo della Chiesa.