Mente e cuore

 
 

a cura di Mons. Alberto Albertazzi

alberipazzi@gmail.com

Mente e cuore, anche se nel comune sentire hanno fra loro strette parentele, in realtà sono tecnologie differenti. Innanzitutto per posizione anatomica. La mente infatti pare essere nel cervello, ben catafratto(1) nella scatola cranica, non raggiungibile se non tramite trapanazione. Il cuore invece si trova nel torace, in posizione, ritengo, chirurgicamente più accessibile, che non richiede trivellazioni. Ma diversa soprattutto è la loro funzione. Il cuore serve per vivere. La mente o cervello(2) per pensare. Il cuore tuttavia, retoricamente e letterariamente, si è accaparrato funzioni che non gli competono. Per quanto ne so è soltanto una specie di pompa idraulica che, invece di acqua, pompa sangue. Ma è divenuto nel linguaggio poetico e canzonettistico sede degli affetti, delle emozioni e di quanto ha a che fare col sentimento.

Forse questa esorbitazione cardiaca si deve al fatto che il cuore sotto emozione accelera il suo ritmo e si mette a battere più forte: ci si accorge quindi di averlo. Il cervello invece resta sempre algido e impassibile: per accorgersi d’averlo occorre l’emicrania, quindi è meglio non accorgersi. Ma in realtà penso che anche le emozioni siano originariamente un fatto mentale, che si ripercuote sul cuore alterandone il ritmo.

E’ più importante il cuore o il cervello? Diciamo che per esistere è più importante il cuore: quando è scassato irreparabilmente, si schiatta. Mentre invece si può tirare avanti anche con il cervello ammaccato per avanzata età o altri fattori, come si vede frequentemente nelle strutture per anziani e affini.

Lasciamo ora perdere queste fresconate e ragioniamo seriamente di cuore e cervello, prendendo il cuore nella sua valenza letteraria sopra precisata: ossia il cuore come alloggio anatomico del sentimento. Non sono uno psicologo e dare una definizione di sentimento non mi è facile. Lo identificherei con uno stato d’animo che provoca vibrazioni interiori, nel bene e nel male. Così è sentimento tanto l’amore quanto l’odio; tanto la fruizione estetica quanto il raccapriccio, e così via. Il sentimento mi sembra dunque bipolare in ogni sua espansione.

Il pensiero, figlio del cervello, che possiamo anche chiamare ragionamento, è frigido e impassibile. Non sembra in grado di sentire se una cosa è bene o male, ma se è giusta o sbagliata. Salvo accettare la congiunzione tra bene e giusto da una parte; e male e sbagliato dall’altra. Ma questa congiunzione mi sembra fatta più dal cervello che dal cuore. Quindi il cervello si intrufola un po’ nel sentimento per dire l’ultima parola, che effettivamente a lui compete pure in campo etico. Anche perché il sentimento troppo volentieri si mette a braccetto con la soddisfazione: questa cosa piace, quindi e buona, quindi è giusta. Oppure inversamente: questa cosa è spiacevole, quindi è malvagia, quindi è sbagliata.

Quando si parla, si parla al cuore o alla mente? Pongo questa domanda perché varie volte, anche recentemente, mi sono sentito dire che nelle prediche parlo più alla mente che al cuore. L’osservazione la riconosco sostanzialmente centrata. Ma occorrono alcune precisazioni. Ecco la prima: si parla alle orecchie, e tocca a loro decidere se inviare il messaggio al cuore o alla mente.

Inoltre dipende dalla struttura di personalità di chi parla: nella specie umana ci sono esemplari sentimentali ed esemplari intellettuali o cerebrali che dir si voglia. E’ questione di prevalenze: non esiste l’intellettuale assoluto che non prova alcun sentimento; e non esiste il sentimentale assoluto, che non fa alcun ragionamento. Pare ovvio che il predicatore strutturalmente cerebrale non si lascia andare a vampate di travolgente entusiasmo, con raffiche di esclamazioni, come capitava nella fragorosa omiletica di una volta. Se deve predicare la parola di Dio, deve innanzitutto capirla, almeno fin dove può, e poi cercare di farla capire: e questo può dare l’impressione che parli più alla mente che la cuore. Se in una lettura – capita assai spesso – s’incontrano dei nodi concettuali che si presumono inestricabili per l’assemblea, il predicatore di turno ha il dovere di scioglierli almeno quanto basta per fornire un minimo di comprensione. E il nodo risolto, proprio perché compreso, può far scattare una mobilitazione di sentimento (=cuore) nelle persone che ascoltano.

So bene che forse sono stucchevole, se non addirittura sofisticato, quando mobilito il greco(3) – lo faccio abbastanza spesso – per chiarire il concetto soggiacente. Un esempio molto fabulato qualche mese fa: la famosa questione del Padrenostro. “Non indurci in tentazione” o “non abbandonarci alla tentazione”(4), oppure “non metterci alla prova”, come reputo più rispettoso di Dio e dell’originale greco? E’ accettabile una traduzione sbagliata, per aggiustare le cose togliendo l’immagine di un Dio tentatore, che ruba il mestiere al diavolo? “Non metterci alla prova” è una traduzione linguisticamente giusta, dà risalto alla nostra fragilità, dalla quale ci possiamo aspettare di tutto. Quindi uno stimolo alla pratica dell’umiltà. E l’umiltà è una virtù che può allignare solo nei “poveri in spirito”, quindi in cuori sintonizzati. Dunque una partenza dotta, quindi cerebrale, può farci attraccare alla spiaggia del cuore. La fede cristiana totalizza talmente l’uomo da consentire itinerari interiori che, partendo dalla mente, approdano al cuore. Le applicazioni alle situazioni odierne, nelle quali siamo immersi fino al collo, ciascuno le può fare da solo.

L’eventuale tono soporifero, della predicazione, così come quello sfavillante, dipende dalla personalità dell’omileta. E quella non si può cambiare! Ciò che in nessun caso posso tollerare è la predicazione senza guardare la gente in faccia. Mi sembra di averlo già scritto da qualche parte. L’assemblea dà sempre un riscontro attendibilissimo di interesse o disinteresse. Se ci si accorge che non si riesce d agganciare l’assemblea, la cosa più saggia è trovare una quadra per concludere velocemente. Ma in nessuna cosa ci può essere la perfezione: tutto ha un pro e un contro. Tener d’occhio l’assemblea comporta la necessità di guardarsi in giro e la voce viene scarsamente captata dal microfono, con inevitabili cali di audio acustico, specie se l’assemblea è in prevalente età da amplifon! Non so come facesse Gesù a parlare all’aperto a folle sterminate(5), senza amplificazione acustica! E’ questo un miracolo da non so quanti decibel, cui gli evangelisti non danno risalto.

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1 Termine inconsueto ma con tentativi di rimettersi in voga. Significa corazzato. Infatti il cervello è tanto più corazzato quanto più è dura la testa che lo racchiude.

2 Usiamo questi due termini come sinonimi anche se, a voler essere precisi, dobbiamo dire che il cervello è lo strumento che produce il pensiero ma è diverso dal pensiero.

3 Oso informare in nota che non lo avevo studiato al liceo perché avevo fatto lo scientifico. Ma quando compresi che senza il greco nella Bibbia non si andava avanti, me lo sono studiato, raccogliendo soddisfazioni enormi.

4 Come sciaguratamente si è scelto. Queste scelte di comodo bonificano anche la traduzione dei Testimoni di Geova, che recita a proposito dell’Eucaristia: “prendete e mangiate: questo significa il mio corpo”.

5 Vedi moltiplicazione dei pani.