Messaggio pasquale ecumenico

 
 

Care sorelle e cari fratelli nel Signore,

con la Domenica delle Palme, volendo seguire la scansione ebdomadaria che ritroviamo nei Vangeli e che il calendario liturgico delle varie Chiese cristiane riprende, si apre la Settimana Santa, nella tradizione latina e occidentale detta anche Settimana Maggiore; in quella greca, unendo le due definizioni, la Grande e Santa Settimana.

La Domenica delle Palme viene denominata, significativamente, anche Domenica di Passione, inizio del percorso che avrebbe portato al dramma del Venerdì Santo, seguito dal silenzio del Sabato Santo, nell’attesa della Pasqua di Risurrezione.

La Settimana Santa è, per il credente, un momento di riflessione, di meditazione, di introspezione, è il soffermarsi un istante, tirandosi fuori dal vortice senza sosta del quotidiano, per posare il nostro sguardo su una realtà che va oltre quel perpetuo inseguire qualcosa che forse nemmeno sappiamo.

È il tempo dello Spirito, nel quale ci si allontana dalla vita di ogni giorno, per riscoprirne il senso, cioè il significato e il valore, ma anche la direzione: “Dove sto andando, al di là di questo mio correre in cerchio?”.

Da una quarantina di giorni, in verità, stiamo condividendo, con l’umanità tutta, un tempo sospeso, come di attesa indefinita, nel quale tutto è bloccato, come congelato, un tempo nel quale ai più è chiesto di essere pazienti e a quanti, in diverso modo, si prendono cura di noi, della nostra salute e della nostra sicurezza, di sopportare un carico di lavoro e una pressione che arriva al limite del tollerabile. Tanti ammalati, in maggioranza ma non solo anziani, sono costretti ad affrontare la malattia, talvolta la morte, senza la vicinanza confortante dei propri cari, familiari ed amici, anche se sono sostenuti, per quanto questi possono, dall’umanità di medici e infermieri. Tante le famiglie colpite, che si vedono portar via, in pratica sequestrati dalla malattia, i propri cari, ai quali non possono portare neppure il beneficio della loro presenza o recare un ultimo saluto.

Non siamo soli però. Gli esempi di generosità, solidarietà, altruismo, spesso di eroismo, che si diffondono e moltiplicano, come un contagio di bene, sono luci di speranza che rovesciano il clima di diffidenza, ostilità, guerra di tutti contro tutti, che pesava sul consorzio sociale, qui e nel mondo intero. Dio usa le mani di tante e tanti “samaritani” dei nostri giorni, che si fanno “prossimo” agli altri, oltre l’egoismo, oltre la paura.

Ma, in quanto discepoli di Cristo, secondo le parole dell’apostolo Paolo, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione. (2 Corinzi 1,5). Una consolazione che abbraccia questa vita, ma che ci proietta, nella certezza della fede e con lo sguardo della speranza, nella luce dell’eternità, cosicché, riprendendo ancora l’apostolo, speriamo, nella fede, che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. (Romani 8,38-39)

Pur sotto l’ombra della croce, infatti, tra la Domenica di Passione e il Venerdì Santo, intravediamo una luce, la luce sfolgorante della Domenica di Pasqua, vittoria definitiva di Dio, in Cristo Gesù, sul male e sulla morte.

Arcidiocesi di Vercelli
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