«Io sono con voi ogni giorno» – Ascensione del Signore
Vogliamo accostarci alla Parola di Dio con trepidazione: da essa sempre arriva un misterioso invito al silenzio, al raccoglimento, alla contemplazione che riescono a togliere ascolto e importanza ai rumori quotidiani. Gli spazi intimi dell’anima, tante volte travolti e risucchiati dalle preoccupazioni e dagli affanni feriali, sono oggi inondati dalla luce di questo mistero: l’Ascensione al cielo di Gesù.
Sono decisamente sobrie le narrazioni che i sinottici fanno di questo evento. Quella di Luca è più ricca, soprattutto negli Atti degli Apostoli, proprio all’inizio: «Riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1, 8). Gesù si congeda così dagli Apostoli: «… mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse i loro occhi (At 1, 9)».
L’uso del verbo elevare è di origine veterotestamentaria ed è riferito all’insediamento nella regalità. L’Ascensione di Cristo, dunque, vuole testimoniarci l’insediamento del Figlio dell’uomo, crocifisso e risorto, nella regalità di Dio sul mondo intero.
Ma subito dopo Luca aggiunge: «È stato assunto in cielo». Allora non è un viaggio quello che Gesù compie verso l’alto, ma è un’azione della potenza di Dio che lo introduce in un altro spazio, quello della prossimità divina; lo introduce «in cielo», parola che indica non un luogo sopra le stelle, ma qualcosa di molto più ardito e sublime: vuole significare che Cristo stesso, il Figlio del Padre, dunque Persona divina, accoglie pienamente e per sempre l’umanità, perché Egli è Colui nel quale Dio e l’uomo sono inseparabilmente uniti.
«L’essere dell’uomo in Dio, questo è il cielo!», afferma Benedetto XVI. E noi ci avviciniamo, anzi entriamo nel cielo, nella misura in cui ci avviciniamo a Gesù ed entriamo in comunione con Lui. Perciò il mistero dell’Ascensione che celebriamo solennemente ci invita a una comunione profonda, autentica con Cristo, morto e risorto, per sempre presente nella vita di ogni uomo, anche se in maniera del tutto invisibile. Se la presenza umana di Gesù, infatti, era stata visibile agli occhi di tutti, la sua presenza divina certamente lo rende invisibile agli occhi del corpo, ma vivo e operante agli occhi della fede.
Fino a quando Cristo era presente in Palestina, un luogo geografico ben definito, sotto il governatore Ponzio Pilato, in un preciso tempo storico, la sua azione salvifica non poté raggiungere la massima espansione. Ma appena Cristo ascende al Padre, la sua azione diventa davvero universale e può affermare: «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
Ma non solo! Gesù salendo al cielo porta accanto a Dio tutto il nostro corpo, la nostra carne mortale soggetta alla malattia e alla morte; tutto di noi siede con Lui alla destra del Padre, anticipando quello che un giorno avverrà (speriamo!) superando tutti i livelli delle gerarchie angeliche e celesti, risplendendo di una gloria che supera anche quella degli angeli (cfr. Ef 1, 18).
Desta perlomeno sorpresa l’apprendere che gli apostoli ripartissero dal monte degli ulivi verso Gerusalemme «pieni di una grande gioia» dopo la partenza del loro Maestro. Ma la causa di questa gioia era determinata dal fatto che quanto era accaduto in realtà non era un distacco, un’assenza permanente del Signore; nel loro cuore spuntava la certezza che veniva inaugurata la nuova, definitiva e insopprimibile forma della sua presenza in quanto partecipazione alla potenza regale di Dio.
Anche il nostro cuore è invaso da una grande gioia perché: « …alzate le mani, li benedisse» (Lc 24, 50).
L’ultima immagine di Gesù sono le sue braccia aperte in segno di benedizione. Le mani di Cristo sono diventate come un tetto che ci ripara, ci protegge e insieme apre la porta del mondo verso il cielo.