Per una vera Quaresima

 
 

a cura di Mons. Alberto Albertazzi

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E’ qualche anno che su questo foglio non si ragiona più di quaresima e mi vien voglia di inforcare questa strada. La quaresima quest’anno, come assai spesso, inizia in febbraio, quindi conviene cominciare a scaldare i muscoli per non giungere impreparati. Cosa vuol dire prepararsi alla quaresima? Vuol dire escogitare il modo di non sprecarla. L’ossatura della quaresima è fatta essenzialmente di penitenza e mortificazione. Credo che nessuno possa dirsi allegro a trecentosessanta gradi. Non è difficile trovare in se stesso dei punti deboli che necessitano di revisione. Ognuno sa da che piede zoppica e su quel piede deve intervenire per zoppicare di meno.

C’è una quaresima attiva e una quaresima passiva. Entrambe, se rettamente vissute, sono meritorie. Ma occorre spiegarle. Per quaresima attiva intendo l’iniziativa di applicarsi qualche penitenza a propria scelta, in modo da non dare alla quaresima consistenza soltanto liturgica, ascoltandone i richiami, senza tuttavia metterli in pratica. La classica, storica, benemerita penitenza quaresimale è la moderazione alimentare, che risente di epoche in cui il sollazzo principale consisteva nel mettere la gambe sotto il tavolo. Le odierne prescrizioni in materia fanno morir dal ridere per la loro leggerezza. La Chiesa si accontenta di proibire l’alimentazione a base di mammiferi e pennuti i venerdì di quaresima. Non è evidentemente una grande sforzo, perché le carni mancanti possono essere supplite con pari ghiottonerie. Ma non è vietata la limitazione in altri alimenti di maggior gradimento. Insomma: questa prescrizione della Chiesa, pur da doversi rispettare, va presa come esempio di limitazione. Un po’ come se la Chiesa mandasse un messaggio di questo genere: almeno in quaresima non toglietevi tutti gli sfizi che vi vengono, cercate di moderarvi un po’ perché fa bene alla spina dorsale della vostra anima. E siccome è l’interessato che si pone dei limiti, ecco che questo modulo penitenziale si può definire attivo.

Ma c’è anche una quaresima passiva, che consiste nell’accettare serenamente ciò che di poco allegro la vita comporta. Gesù non è andato a cercarsi la croce: gli è capitata addosso e l’ha accettata, non senza recalcitrare almeno un po’: «Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). La lettera agli Ebrei enfatizza questa debole riluttanza prontamente rientrata, dicendo che Gesù «offrì preghiere con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte» (5,7). Si tratta evidentemente di un rinforzo letterario alla sobria agonia di Gesù, come documentata nei Vangeli (Mt 26,39; Mc 14,36; Lc 22,42).

Sappiamo che la vita è un frullato più o meno riuscito di buona e mala sorte. La buona sorte ben venga ma non sempre è garantita. La mala sorte non è desiderata, ma può arrivare da un momento all’altro, magari senza neppure un preavviso. Gli esempi sono persino scontati ma non banali, perché nel dolore non c’è niente di banale. Eccone qualcuno: una morte improvvisa che lascia sgomenta una famiglia; la perdita del posto di lavoro; una malattia seria e dall’esito incerto, magari in età ancora giovanile; e via lacrimando. Sono eventi che cristianamente si gestiscono nella logica del “sia fatta la tua volontà”. Si tratta di accettata volontà altrui, dunque di penitenza passiva da viversi in spirito quaresimale.

Ha senso che anche in quaresima si preghi per una guarigione? Certamente. Ma ha più senso, a parer mio, che si preghi per saper accettare la volontà di Dio: sia che voglia la guarigione, sia che non la conceda in quanto il suo occhio lungimirante vede nel permanere di quella malattia migliori opportunità di salvezza definitiva. Soprattutto se la malattia viene cristianamente valorizzata col sacramento dell’Unzione. Mai dimenticarlo, quando la malattia è seria! Attenti però che per chiedere l’Unzione occorre anche “sentirsi” ammalati o vistosamente indeboliti dagli anni. Non è sufficiente qualche valore del sangue un po’ sballato: non è da sottovalutarsi ma non reca apprezzabili disturbi. Conosco qualcuno che ha chiesto l’Unzione perché stava per sottoporsi a quell’intervento, ormai di routine, che si effettua su attempati maschietti. Mi disse successivamente che non l’apprezzò come meritava, perché non si sentiva ammalato.

La volontà di Dio è infrangibile e si realizza sempre. E’ assurdo pensare che gli possa andare storto qualcosa. Il problema è da parte nostra non da parte sua. Tocca a noi la saggezza evangelica di accettare la sua volontà. Quindi noi possiamo pregare per la guarigione, magari chiedendo persino un miracolo. Ma facciamo meglio a pregare per ottenere la forza d’animo di accettare la volontà di Dio anche quando è in smaccato contrasto con la nostra. E questo è un ottimo esercizio quaresimale.

In ogni caso pregare per i malati è sempre bene. Nel Messale Romano c’è una messa apposita per i malati (p. 822). Ce n’è persino una par i moribondi (p. 823) e un’altra “per chiedere la grazia di una buona morte” (p. 836).

Bene. In questa quaresima suggeriamo un proposito collettivo: la preghiera per l’accettazione docile della volontà di Dio. Alla Via Crucis, tipica preghiera quaresimale, che faremo secondo le indicazioni sul programma di settimana, daremo questa intonazione specifica: per l’accettazione docile della volontà di Dio. La Via Crucis è il cammino supremo di questa accettazione, percorso dall’ «Uomo dei dolori che ben conosce il patire» (Isaia 53,3), non in solitaria ma tallonato da sua Madre che si posiziona in eroico silenzio ai piedi della croce (cfr Gv 19,25). In questo poco allegro itinerario ricorderemo tutti i sofferenti del nostro plesso parrocchiale, sia quelli noti sia quelli ignoti, e ci sarà spontaneo congiungere idealmente il patire di Cristo e il patire dei cristiani.