Pregare “ostinatamente” per le vocazioni

 
 

Si affaccia frequentemente un dubbio nella nostra preghiera, o forse, una domanda: “Ma Dio mantiene sempre la parola data e ci ascolta quando obbediamo al suo famoso imperativo: “Pregate il padrone della messe” ?(Mt 9, 37-38)). Ormai tutti lo sanno e lo dicono: “Mancano gli operai nella vigna del Regno”.

Eppure si avverte il silenzio di Dio che mette a dura prova la nostra fede. Ne va persino di mezzo un po’ di logica nel comportamento di Dio: da una parte, ci indica la strategia del suo agire con l’invito a pregare; dall’altra, non sembra dare segnali di risposta. Da cinquant’anni i nostri discorsi sulla Chiesa vanno facilmente sui binari della crisi vocazionale. Il nostro tempo sembra qualificarsi come la stagione più avara del secolo: tra un passato che costruiva seminari e conventi e un futuro di una speranza più desiderata che vissuta.

Insomma, come la mettiamo con una Chiesa “piccolo gregge”, con parrocchie chiuse da tempo senza ombra di prete e con l’urgenza conclamata di riannunciare il Vangelo, nel clima di un secolarismo impietoso, affollato da gente che si lamenta sulla temperie dei tempi e sul mondo che va male?.
Questo è l’anno della fede, propostoci da quel commovente testimone che è il papa Benedetto XVI e si va giustamente ripetendo che questa visione della vita richiede di essere illuminata dalla speranza, dalla parola di Dio, dalla preghiera e dallo spirito di servizio.
L’anno della fede invita a guardare in alto nell’impostazione della vita. La miopia spirituale è la patologia più drammaticamente diffusa nel costruire la vita come progetto. L’anno della fede è una grande occasione di grazia per costruire la casa sulla roccia e non sui valori effimeri e deludenti della cultura del pensare a se stessi. O meglio, il pensare a se stessi va bene, ma solo per farne dono, come scriveva Paul Claudel: “ A che servono le cose se non per la vita, e a che serve la vita se non per essere donata?”.
Per questo è urgente ritrovare spazi di silenzio, soprattutto tra i giovani, per rispondere alle domande giuste della vita: “Che cosa vuoi che io faccia, o Signore? Che cosa vuoi che io sia?”
Il ritorno “ostinato” alla preghiera e il confronto delle nostre ipotesi di vita con una guida sapiente che addita i sentieri che portano verso l’alto, restituiscono alla vita il fascino dell’avventura evangelica per non abbandonarla alla pigrizia di un io miope e deludente.

Domenica IV di Pasqua, conosciuta come la domenica del Buon Pastore, è un’altra occasione per rinnovare nelle nostre famiglie e nelle comunità cristiane l’impegno della preghiera e soprattutto dell’adorazione eucaristica:“ «… gli operai sono pochi! Pregate…” (v 38)
Ciò non significa ricordare i nostri diritti dimenticati da Dio, ma certamente rinnova la speranza lasciando fiduciosamente a Lui il bandolo della storia, con la ricchezza dei suoi doni. E’ bello pensare che ogni vocazione che sboccia nella Chiesa sia una sorta di progetto realizzato da molte mani: da quelle di Dio alle nostre. Un giorno scopriremo la bontà di questa avventura: “Anch’io ho collaborato a realizzare una vocazione. In quel dono di vita consacrata o sacerdotale ci sono anche le mie mani…”