Prendi il largo
Lo aveva detto Gesù a Pietro, proiettandolo a quella pesca, poi risultata miracolosa (Luca 5,4). Questa ingiunzione non è da prendersi soltanto in senso peschereccio, ma come un invito all’allargamento mentale, disincagliandoci dalle nostre abituali strettoie rasoterra, nelle quali si voltola anche la Chiesa, pur essendo inviata ad annunciare gli sconfinati spazi del regno di Dio.
In questo allargamento si coglie anche un desiderio di fuga, già suggestivamente espresso da un salmista perseguitato ed esausto che si domanda:
Chi mi darà ali di colomba
per volare e trovare riposo? (Salmo 54,7)
Non gli basta trovare riposo. Desidera anche volare, ossia alzarsi, elevandosi, liberandosi dalle strettoie della quotidianità, oggi chiamata normalità alla quale si desidera ritornare nella speranza che la pandemia tolga l’assedio. Tornare alla quotidianità significa riciclare il già visto, il già vissuto, come mugola un po’ sconsolato il Qoelet biblico: “Quello che accade è già stato; quello che sarà è già avvenuto” (3,15).
Solo la Chiesa potrebbe darci ali di colomba per volare e trovare riposo, ma ormai la religione è ridotta a sociologia e la Chiesa a una specie sindacato, perché si preoccupa prevalentemente del benessere agli uomini in questa vita.
Un suo ideologico avversario, Karl Marx († 1883) aveva definito la religione “oppio dei popoli”, perché a parer suo li nutriva di illusioni inducendoli a sperare nell’eternità. Aveva però capito cos’è la religione pur non condividendola: è quel movimento di pensiero che dovrebbe attrezzarci di ali di colomba, ricordandoci che “non abbiamo quaggiù cittadinanza permanente, ma andiamo in cerca di quella futura” (Lettera agli Ebrei 13,14), ossia l’eternità, nella quale lui personalmente non credeva. Ma non basta dire che non esiste solo perché non riusciamo a immaginarla.
Questa è la presunzione del filosofo Hegel († 1831) che identificava il reale con il razionale: esiste solo ciò che si può pensare; ciò che non si riesce a pensare non esiste. E l’eternità, non pensabile, viene in tal modo demolita trascinandosi dietro anche Dio. Se la religione è un’oppiacea illusione, la razionalità è una suprema presunzione perché limita ciò che realmente esiste, a ciò che si riesce a pensare con le nostre mediocri meningi.
Le sospirate “ali di colomba” invece ci portano molto più lontano, in altre condizioni di vita. Non nell’inquinata atmosfera di questo mondo ma nella limpida e luminosa atmosfera dell’eternità. Certo, ho parlato di limpida e luminosa atmosfera dell’eternità, utilizzando categorie del pensiero umano, perché non posso dire altro non avendone esperienza. Ma questo non vuol dire in automatico che l’eternità sia una favola.
Che senso ha pregare per una guarigione sapendo che la morte arriva comunque? Al massimo si allungano i tempi che in ogni caso restano a termine. La preghiera ha senso solo in prospettiva di eternità.
Ebbene oso ripetere che mi preoccupa la censura che la Chiesa, almeno quella italiana, ha lascito cadere sull’eternità, dimostrando maggiore interesse per la pandemia, i vaccini, le migrazioni, l’economia, i posti di lavoro. La vedo impegnata, peraltro lodevolmente, a cercare di migliorare le condizioni di vita su questa terra. Ma tocca a lei? E’ la sua missione prioritaria? Stando a quello che si legge nel Nuovo Testamento, direi di no. Eppure la larga maggioranza dei suoi interventi, collegiali e di singoli vescovi, sono terapeutici ai malanni di questo mondo. Mai la sento dire che la compensazione e i conguagli, in bene e in male, avverranno nell’eternità, come invece garantisce Gesù scrosciando le splendide
Arcidiocesi di Vercelli-Comunità pastorale 1 PLESSO DI CREVACUORE
Ailoche – Caprile – Crevacuore – Guardabosone – Postua alberipazzi@gmail.com
GIUGNO 2021
circolare interna del parroco d. Alberto Albertazzi
“PRENDI IL LARGO”
Lo aveva detto Gesù a Pietro, proiettandolo a quella pesca, poi risultata miracolosa (Luca 5,4). Questa ingiunzione non è da prendersi soltanto in senso peschereccio, ma come un invito all’allargamento mentale, disincagliandoci dalle nostre abituali strettoie rasoterra, nelle quali si voltola anche la Chiesa, pur essendo inviata ad annunciare gli sconfinati spazi del regno di Dio.
In questo allargamento si coglie anche un desiderio di fuga, già suggestivamente espresso da un salmista perseguitato ed esausto che si domanda:
Chi mi darà ali di colomba
per volare e trovare riposo? (Salmo 54,7)
Non gli basta trovare riposo. Desidera anche volare, ossia alzarsi, elevandosi, liberandosi dalle strettoie della quotidianità, oggi chiamata normalità alla quale si desidera ritornare nella speranza che la pandemia tolga l’assedio. Tornare alla quotidianità significa riciclare il già visto, il già vissuto, come mugola un po’ sconsolato il Qoelet biblico: “Quello che accade è già stato; quello che sarà è già avvenuto” (3,15).
Solo la Chiesa potrebbe darci ali di colomba per volare e trovare riposo, ma ormai la religione è ridotta a sociologia e la Chiesa a una specie sindacato, perché si preoccupa prevalentemente del benessere agli uomini in questa vita.
Un suo ideologico avversario, Karl Marx († 1883) aveva definito la religione “oppio dei popoli”, perché a parer suo li nutriva di illusioni inducendoli a sperare nell’eternità. Aveva però capito cos’è la religione pur non condividendola: è quel movimento di pensiero che dovrebbe attrezzarci di ali di colomba, ricordandoci che “non abbiamo quaggiù cittadinanza permanente,
ma andiamo in cerca di quella futura” (Lettera agli Ebrei 13,14), ossia l’eternità, nella quale lui personalmente non credeva. Ma non basta dire che non esiste solo perché non riusciamo a immaginarla.
Questa è la presunzione del filosofo Hegel († 1831) che identificava il reale con il razionale: esiste solo ciò che si può pensare; ciò che non si riesce a pensare non esiste. E l’eternità, non pensabile, viene in tal modo demolita trascinandosi dietro anche Dio. Se la religione è un’oppiacea illusione, la razionalità è una suprema presunzione perché limita ciò che realmente esiste, a ciò che si riesce a pensare con le nostre mediocri meningi.
Le sospirate “ali di colomba” invece ci portano molto più lontano, in altre condizioni di vita. Non nell’inquinata atmosfera di questo mondo ma nella limpida e luminosa atmosfera dell’eternità. Certo, ho parlato di limpida e luminosa atmosfera dell’eternità, utilizzando categorie del pensiero umano, perché non posso dire altro non avendone esperienza. Ma questo non vuol dire in automatico che l’eternità sia una favola.
Che senso ha pregare per una guarigione sapendo che la morte arriva comunque? Al massimo si allungano i tempi che in ogni caso restano a termine. La preghiera ha senso solo in prospettiva di eternità.
Ebbene oso ripetere che mi preoccupa la censura che la Chiesa, almeno quella italiana, ha lascito cadere sull’eternità, dimostrando maggiore interesse per la pandemia, i vaccini, le migrazioni, l’economia, i posti di lavoro. La vedo impegnata, peraltro lodevolmente, a cercare di migliorare le condizioni di vita su questa terra. Ma tocca a lei? E’ la sua missione prioritaria? Stando a quello che si legge nel Nuovo Testamento, direi di no. Eppure la larga maggioranza dei suoi interventi, collegiali e di singoli vescovi, sono terapeutici ai malanni di questo mondo. Mai la sento dire che la compensazione e i conguagli, in bene e in male, avverranno nell’eternità, come invece garantisce Gesù scrosciando le splendide classiche beatitudini, di cui mi limito a citarne un paio secondo Luca (6,20-21):
Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.
L’eternità ha senso solo in riferimento a Dio. Se Dio è cestinato, come sta accadendo ai nostri squallidi tempi, è chiaro che mobilitare la mente verso l’eternità diventa sempre più arduo. I Santi interessano più di Dio. Lo si vede in chiesa: sono ben più gettonati di Dio, del Crocifisso, del Santissimo Sacramento. Quanti (più o meno) fedeli si vedono in chiesa puntare verso la statua del tal Santo, ignorando completamente, o quasi, ben più prestigiosi riferimenti religiosi! Ma i Santi chi sono? Esseri umani, costituzionalmente non superiori a noi, se non soltanto per aver esercitato le virtù in maniera eccelsa. Ma sono della nostra stessa specie biologica, con nulla di più e niente di meno.
I Santi sono brava gente: come noi nati, vissuti e morti, come prima o poi capiterà anche a noi. Ma non ci danno “ali di colomba” perché restano uomini e donne. E non basta che ne siano prodotti a raffica dal “Beatificio Vaticano”, per orientare il nostro sguardo verso l’eternità, che peraltro hanno raggiunto. Non sono l’ “Essere del quale è impossibile pensarne uno più grande” (sant’Anselmo d’Aosta †1109); non sono il limite superiore del pensiero umano. Sono stati anche loro cittadini del tempo e, avendo preso il largo, sguazzano, nell’eternità. La loro efficacia religiosa non consiste soltanto nelle mini- grazie che si sperano accendendo loro una o più candele in chiesa, secondo una concezione alquanto tapina della religione.
Diventano per noi significativi ed efficaci soltanto se li pensiamo nella loro attuale condizione di cittadini dell’eternità, alla quale anche noi siamo destinati, “ove non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate”. (Apocalisse 21,4); e vedremo finalmente Dio “così come egli è” (1 Lettera di Giovanni 3,2).
E’ questo che vorrei dalla Chiesa: che messi in subordine la pandemia, i vaccini, guerra e pace, l’ecologia, le migrazioni intercontinentali e simili, rimettesse al centro dell’attenzione sua e dei fedeli Dio e l’eternità, pur riconoscendone l’affascinante paradosso che è questo: cosa si può dire di ciò che non si riesce a pensare? Paradosso peraltro ribaltabile nella seguente domanda: che sorpresa può dare ciò che si è già riusciti a pensare?
E’ significativo il fatto che il Vangelo ci garantisce la vita eterna, ma non ci dice cosa sia. Ma mi permetto di dare una mia definizione dell’eternità: è continua permanenza non annoiante. Anche la musica più bella, se ripetuta all’inverosimile, finisce per annoiare. Anche lo scenario paesaggistico o pittorico più mozzafiato, se non si riesce a distogliere lo sguardo finisce per annoiare. Il nostro pianeta, se permane ostinatamente uguale a se stesso, finisce per annoiarsi: ecco allora le glaciazioni che, seppure su tempi lunghissimi, vanno e vengono; ecco il clima che si modifica in meglio o in peggio. L’eternità immota invece non produce noia perché lo scenario che ci offre è Dio il quale, essendo infinito, è perfettamente complementare all’eternità e la visione di lui non provoca mai saturazione. Se la Chiesa vuole adempiere il suo mandato, deve ricordare l’eternità1 all’uomo di oggi, che ne sembra assai distratto. Gesù, agli apostoli un po’ esaltati per loro successi miracolistici, dice: “Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Luca 10,20). Ossia: avete un posto già prenotato. E Paolo è sulla stessa linea quando scrive: “Ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio” (Lettera ai Filippesi 1,23). Essere con Cristo significa essere con lui, ormai approdato all’eternità, unica condizione di vita irreversibilmente felice (e dimenticata).