Prima domenica di Avvento
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Il Vangelo di questa prima domenica di Avvento presenta un duplice invito: “fate attenzione, vegliate”, seguito da una motivazione: “perché non sapete quando è il momento”. Tali parole mettono in risalto una dimensione di fragilità dell’essere umano: noi non sappiamo, nessun uomo sa, poiché non ha il controllo della sua vita; nello stesso tempo esse evidenziano la necessità di un’attenzione, una vigilanza. Ciò significa che il nostro non sapere non equivale a un brancolare nel buio in attesa di una fine, ma è un invito a mantenere il cuore desto, vigilante perché il padrone ritornerà. Ritroviamo qui temi che ormai ci sono familiari: questo padrone, anche se il termine suona male alle nostre orecchie, non è un usurpatore o un prevaricatore; al contrario, prima di partire egli ha condiviso il suo potere con i servi affidando a ciascuno, in modo ordinato e armonioso, il proprio compito. Al portiere ha assegnato l’incarico di vegliare, di diventare quella voce che già abbiamo incontrato nella parabola delle dieci vergini, incaricata di annunciare il momento dell’arrivo dello sposo o, in questo caso, del ritorno del padrone. Attenzione e vigilanza implicano la capacità di attendere, dimensione spesso faticosa e frustrante della nostra esistenza. Lo dimostrerà nel capitolo successivo lo stesso Vangelo di Marco, dove vedremo Gesù nell’Orto degli ulivi rimproverare Pietro per non essere stato capace di vegliare un’ora sola (Mc 14,37), quello stesso Pietro che al canto del gallo, evocato nel brano di oggi, lo rinnegherà tre volte (cf Mc 14,72). Se per l’essere umano l’attesa è sempre stata una dimensione difficile da gestire, poiché comporta una frustrazione, un’inappagata soddisfazione del desiderio, oggi, nell’era del narcisismo e del consumismo dove tutti i bisogni devono essere immediatamente gratificati, lo è molto di più. L’aver eliminato l’esperienza dell’aspettare ha tuttavia sottratto all’uomo la capacità di desiderare, di aspirare a un bene che è l’oggetto dei nostri aneliti più profondi. Il Vangelo si colloca invece in una posizione del tutto opposta: se ci invita a vegliare, lo fa per riaccendere in noi l’attenzione del cuore e, in modo più specifico, il desiderio di un incontro. Si veglia perché si attende qualcosa o, ancor meglio, qualcuno. Questo brano contiene quindi una promessa certa e rassicurante, altrimenti l’invito da parte di Gesù non sarebbe giustificabile: l’attesa e la veglia non saranno vane perché il ritorno del padrone è garantito; incerto è il momento in cui avverrà, ma indubbia la sua realizzazione. Sta a noi decidere come collocarci nel tempo dell’attesa: nel capitolo immediatamente successivo del Vangelo di Marco Gesù riproporrà ai discepoli l’invito a vegliare proprio mentre sta per giungere la sua ora, ma li troverà addormentati. Anche noi possiamo essere assopiti nei confronti dell’esistenza, appiattiti in una vita senza speranze da coltivare, senza sogni e aspirazioni. Oppure possiamo essere servi fedeli che compiono diligentemente le mansioni loro affidate, ma ci è anche data la possibilità di iniziare questo tempo d’avvento nella vigilanza, nutrendo l’incrollabile certezza che il padrone ritornerà anche se sotto spoglie molto diverse: quelle di un fragile bambino.