Prima domenica di Avvento
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Con questa domenica inizia il tempo di avvento, un periodo dell’anno liturgico in cui il tema dell’attesa acquista un significato particolare: attesa della nascita di Gesù, naturalmente, ma anche della sua venuta definitiva, quella venuta celebrata domenica scorsa con la festa di Cristo Re e che si realizza ogni giorno con il farsi presente del Signore nella nostra vita. Con un linguaggio tipicamente apocalittico l’evangelista Luca, da cui saremo accompagnati nel corso di tutto quest’anno, descrive le catastrofi che si verificano lungo la storia, catastrofi di cui gli uomini di questo tempo stanno tragicamente facendo esperienza. Di fronte a tali drammatiche realtà l’essere umano lasciato a sé stesso può rispondere in un unico modo: con la paura, quell’emozione conosciuta per la prima volta subito dopo il peccato originale che ha indotto Adamo a nascondersi dalla presenza di Dio. In questo mondo lacerato dall’angoscia si manifesta, tuttavia, una presenza capace di cambiarne le sorti: quanto è percepito con timore può, infatti, diventare occasione di liberazione per chi sa accogliere la presenza di Colui che dà senso alla vicenda umana, persino a quei drammi che altrimenti potrebbero essere vissuti solo con agitazione e panico, proprio come avviene attualmente. Questo misterioso personaggio porta il nome di “Figlio dell’uomo”, un termine capace di esprimere contemporaneamente la piena umanità di Gesù che celebreremo nel Natale e, secondo le parole del profeta Daniele, rivelare Colui a cui verranno “dati potere, gloria e regno” (Dn 7,14). Grazie a lui l’uomo potrà raggiungere la sua vera liberazione poiché egli, assumendo la nostra umanità, insegnerà ad ognuno di noi che cosa significa vivere. A questo ci si deve preparare e per tale motivo il brano che la liturgia oggi presenta prosegue evidenziando tre verbi di notevole importanza: si tratta di “vegliare”, proprio come le giovani della parabola matteana il cui cuore è sempre desto per percepire l’arrivo dello sposo (cf Mt 25,1-13). In secondo luogo, è indispensabile pregare perché solo a chi veramente lo desidera e attende con cuore sincero è offerto il dono di percepire la sua presenza. Infine, è importante stare “attenti a sé stessi”; con tale affermazione l’evangelista sembra innanzitutto mettere in risalto come il pericolo più insidioso non provenga dall’esterno, da quei cataclismi naturali che faranno piombare gli uomini nell’angoscia; esso è piuttosto da ricercare dentro di noi, nei limiti della nostra persona che appesantiscono il cuore impedendogli di essere vigilante nell’attesa. Tali limiti sono anche ben sintetizzati dall’evangelista in tre pericolosi atteggiamenti: la “dissipazione”, segno di dispersione interiore, di mancato orientamento verso l’unica cosa di cui c’è bisogno, come dirà Gesù a Marta affannata e agitata per molte cose (Lc 10, 41-42). Seguono le “ubriachezze”, simbolo di un’esistenza in cui ci si preoccupa unicamente di soddisfare i propri bisogni e infine gli “affanni della vita”, ovvero le preoccupazioni che ci coinvolgono totalmente senza lasciare spazio alla fiducia in Dio. La lotta contro questi tre rischi può, di conseguenza, rappresentare per ognuno di noi un impegno nel corso dell’avvento, impegno che ci permetterà di accogliere il Signore a Natale e nel suo costante venire.