Quarta domenica di Quaresima
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
La domanda dei discepoli che introduce questo testo: “Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”, mette in risalto un tipico atteggiamento della nostra psiche: il bisogno di trovare un colpevole cui attribuire la causa del male. Gesù risponde all’interrogativo invitando i suoi implicitamente ad andare oltre, ad accogliere nelle vicende della vita, anche in quelle dolorose non volute da Dio, la Sua misteriosa mano che, come avverrà per il cieco nato, opera per il nostro bene. Alle parole di Gesù seguirà il lento percorso che Egli farà compiere non solo al cieco ma anche a tutti gli altri protagonisti del racconto, attraverso il quale si potrà scoprire che Egli è il Signore venuto in questo mondo per giudicare, vale a dire per discriminare, per separare tra noi e in noi le tenebre e la luce, proprio come fece Dio al momento della creazione (cf Gen 1,4). Ed è proprio di una nuova creazione che narra questo testo in cui il cieco, attraverso una serie di passaggi, viene trasformato in credente.
Molte sono le possibili prospettive con cui possiamo avvicinarci a questo brano; nell’itinerario quaresimale che stiamo percorrendo, in cui è spesso evidenziata la dimensione dell’essere figli di Dio, è forse proficuo per il nostro cammino spirituale accostarlo mettendo in risalto l’atteggiamento fiducioso del cieco, in un crescendo che terminerà proprio con il riconoscimento di Gesù come Signore. Il primo atto evidenzia la sorprendente docilità di quest’uomo. Per nessuno di noi è spontaneo permettere a uno sconosciuto di toccare il nostro corpo e di compiere su di esso un gesto così inatteso come lo spalmare del fango sul volto. A maggior ragione per un cieco che, sovente vittima degli scherzi altrui, dovrebbe naturalmente mostrarsi sospettoso. Il nostro uomo, invece, non solo si lascia toccare ma obbedisce all’indicazione di Gesù andando a lavarsi alla piscina. La sua fiducia appare ancor più sorprendente quando entrano in scena i due genitori, il cui atteggiamento distaccato e autoprotettivo – “chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé” – ne richiama un altro che incontreremo tra qualche settimana nel racconto della passione: il lavarsi le mani da parte di Pilato, pur consapevole dell’innocenza di Gesù. Il cieco diventa così per noi il testimone di come né i limiti della natura – la cecità – né quelli della cultura – la famiglia, la società – possono ostacolare il nostro cammino verso la luce. Le vicende della vita, il comportamento dei genitori avrebbero dovuto rendere quest’uomo sfiduciato e sospettoso. La sua logica lineare e pragmatica, unita alla sua sorprendente capacità di fiducia, lo orientano invece verso la luce: non solo la luce che gli permette di vedere ma anche, o soprattutto, la “luce del mondo” quale si dichiara Gesù. Egli può così percorrere un itinerario dove si schiude al suo sguardo interiore il mistero della persona che gli ha aperto gli occhi: prima uomo, poi profeta e infine “Signore” di fronte al quale prostrarsi. Si realizza così lo scopo della missione di Gesù: “E’ per un giudizio che io sono venuto in questo mondo”. In questo caso il giudizio indica l’atto del discriminare, del distinguere chiaramente il divenire vedente, come accade al protagonista del racconto, oppure cieco, come i farisei che invece ritengono di vedere. A noi ascoltatori, desiderosi di percorrere un serio itinerario di fede, è quindi rivolto l’invito a vivere la stessa fiducia filiale, che ci rende capaci di vedere, di dare un senso alla nostra esistenza persino nelle sue dimensioni più dolorose grazie a una relazione sempre più intima e personale con il Signore Gesù.