Quinta domenica di Quaresima

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Se il tema della luce era al centro del Vangelo di domenica scorsa, quello della vita rappresenta il contenuto predominante di oggi: la vita ridonata a Lazzaro, anche se sullo sfondo si staglia il mistero della morte e risurrezione di Gesù. Si tratta, dunque, di una vita dalla qualità diversa: non la rianimazione di un cadavere, come avviene per Lazzaro che ancora porta su di sé le bende e il sudario, ma la vita del Risorto, di Colui che ha definitivamente sconfitto la morte, i cui segni – il velo e le bende – sono rimasti nel sepolcro. Il brano si caratterizza per il movimento continuo di tutti i personaggi, definito da un esegeta come un “superamento di frontiere”, intese non in senso geografico ma come un oltrepassare ciò che per essenza limita la nostra vita: il mistero della morte, quella morte che Tommaso si illude di poter coraggiosamente affrontare e che fa piangere le sorelle di Lazzaro, quella stessa morte di cui Gesù sarà vincitore.
Al capitolo cinque del Vangelo di Giovanni troviamo un’affermazione capace di offrire una chiave interpretativa di questo complesso e coinvolgente testo: qui Gesù afferma: “in verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24). Notiamo un’inversione di significato: vivere e morire non vogliono dire essere o non essere presenti fisicamente in questo mondo, ma sono due stati che dipendono dal credere, che già introduce nell’eternità, o dal non credere. Il modo così insolito in cui Gesù concepisce la morte aiuta a comprendere quel suo atteggiamento che a noi appare inspiegabile: “quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava”. Un gesto apparentemente crudele se subito dopo non venissimo informati del rischio che Gesù assume – la morte per lapidazione – andando in Giudea sulla tomba di Lazzaro. Non è dunque l’indifferenza, la presa di distanza dal dolore altrui ciò che mantiene Gesù lontano dall’amico e dalle sue sorelle. La lunga attesa a cui sono sottoposti Marta, Maria, i discepoli – forse anch’essi amici di Lazzaro? – e tutti gli altri rappresenta l’occasione per sperimentare fin da ora quel passaggio dalla morte alla vita, quel superamento della frontiera della morte, rimanendo in vita attraverso l’atto del credere. “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”, esclamano entrambe le sorelle.
Non è però la sua presenza fisica a salvare Lazzaro dalla morte, bensì la potenza trasformante del suo amore, l’amore di un Dio fatto uomo, l’inviato del Padre che si autodefinisce come risurrezione e vita. Credendo in lui, quindi, già fin da ora siamo introdotti nella vita eterna, la vita di figli nel Figlio. Come mai, però, Gesù, che aveva atteso due giorni prima di raggiungere gli amici, scoppia in lacrime andando al sepolcro? Per il grande amore nei confronti dell’amico, affermano alcuni tra i presenti, o forse anche perché in quella morte egli intravvede un anticipo della sua? Il libro della Sapienza ci suggerisce un’ulteriore spiegazione quando afferma che “la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 2,24). Nel mistero della morte, realtà non voluta da Dio, Gesù vede raccolta ogni sofferenza umana e per tale motivo piange, offrendoci nello stesso tempo la possibilità di vincerla unendoci a lui e credendo in lui.