Rasoterra
a cura di Mons. Alberto Albertazzi
alberipazzi@gmail.com
La Chiesa dalle nostre parti arranca un po’. Superati ed estenuati gli entusiasmi del Concilio Vaticano II, sembra umiliata su un piattume dal quale fatica a rialzarsi. Le vocazioni al sacerdozio sono spaventosamente crollate di numero e fare andare avanti le parrocchie diventa sempre più problematico. Si escogitano congegni di ingegneria pastorale, proposti con vittoriosa vivacità, ma la realtà viaggia in altra direzione.
Nel tessuto sociale europeo Dio è marginalizzato e, con lui, ciò che con lui ha a che fare. Si salva il Papa, ma forse più come personaggio che per ciò che rappresenta. Il vero nemico dell’Europa non è l’islam, anche se si paventa la progressiva islamizzazione del troppo vecchio continente. L’islam, che non è da identificarsi col terrorismo, almeno non liquida Dio, anche se il suo nome è usurpato da tremende imprese terroristiche. Il vero nemico dell’Europa è il laicismo, ossia la progressiva, costante eliminazione di Dio, con la più o meno dichiarata intenzione di toglierlo dai piedi. Tanto per dirne una recentissima, il Consiglio di Stato francese impone l’eliminazione della croce che sovrasta la statua di Wojtyla nella cittadina di Ploermel: la statua può rimanere, la croce no. Quale politico nostrano, oserebbe chiedere pubblicamente preghiera, come ha fatto di recente il governatore della Florida devastata dall’uragano Irma, quando gridò agli Stati Uniti «pregate per noi!»? Nei parlamenti europei un appello così marcatamente religioso è impensabile. Da noi al contrario si sono accese polemiche perché una professoressa universitaria ha fatto dire a sorpresa un’Avemaria per la pace durante la lezione, a ricordo delle apparizioni a Fatima. Alcuni studenti si sono associati alla recita, altri l’hanno biascicata, altri ancora hanno tenuto sdegnosamente la bocca chiusa. L’iniziativa è stata magari eccessiva, ma non era il caso che il rettore dell’università si scomodasse in pubbliche scuse a nome dell’università stessa. Se invece dell’Avemaria quella prof. avesse raccontato una barzelletta, certamente più lunga dell’Avemaria, non ci sarebbe stato strepito mediatico.
La Chiesa (italiana) al proprio interno ha difficoltà a far funzionare bene i suoi meccanismi istituzionali, che dovrebbero essere sue preoccupazioni prioritarie. Mi riferisco in particolare al sacramento della cresima (e dagliela!), un tempo vissuto come arruolamento nella placida milizia di Cristo, poi degenerata in sacramento dell’immediata diserzione. Propongo pertanto di non chiamarla più “sacramento della cresima”, bensì “tradimento della cresima”, perché le garanzie del giorno prima vengono immediatamente smentite da una generalizzata latitanza dei novelli cresimati dalla messa. Come reagisce la Chiesa (italiana) a questo insopportabile andazzo, che sento largamente diffuso?
Altra usanza di recente generazione è quella di invertire la successione dei fatti nel matrimonio: una volta prima ci si sposava, poi si figliava. Oggi prima si figlia poi, se si ha voglia e sussistono le condizioni, ci si sposa. Ma, sposati o non sposati, i figli si battezzano comunque in nome di una misericordia sessantottina, ben diversa dal rigore con cui la Chiesa antica concedeva i sacramenti. E a genitori che si potrebbero sposare ma non si sposano, si chiede in esordio del rito battesimale se si impegnano a educare il pupo in direzione cristiana! Non si sa se ci sia più da ridere o da arrabbiarsi!
Tutto questo e altro ancora che tralascio, ci dice che gli odierni tempi per la Chiesa (italiana) non sono facili e non si sa come imprimere un’inversione di tendenza che rimetta Dio al centro e l’uomo in collegata periferia.
Mi spingo fino a supporre che la Chiesa (italiana) si stia fortemente impegnando nel sociale perché non riesce più a far passare il soprannaturale. Preso atto che Dio non interessa più, che con i sacramenti si giocherella, che il Vangelo è snobbato da una cultura impegnata nella storia dell’omosessualità (sic! università di Torino), la Chiesa (italiana) per riuscire a galleggiare sui marosi della storia, si impegna nel sociale, come sta facendo a tutto spiano. Anche lo sguardo della Chiesa (italiana), dal soprannaturale sembra essersi acquattato sulla crosta terrestre. L’eternità è taciuta nel magistero ordinario; evocata tuttalpiù con svolazzi retorici nei funerali; il giudizio di Dio, se ricordato, è sempre risolto a buon fine per il defunto di turno. Ma ciò che interessa alla Chiesa (italiana) di oggi è che tutti abbiano un lavoro, una casa, il pane quotidiano, che i cervelli italiani non vadano all’estero, che i sacrosanti diritti siano a tutti riconosciuti. Sono certamente cose importanti e la Chiesa (italiana) vi si impegna in nome della carità. Ma la Chiesa ha priorità spiccatamente religiose che non può perdere di vista. Nell’immediato post-concilio il documento vincente è stato la costituzione liturgica. Sui tempi lunghi la vittoria è passata alla costituzione Gaudium et spes (costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo), con il trionfo del magistero sociale ecclesiastico.
Se leggo correttamente i Vangeli, mi pare che Gesù abbia predicato di più il regno di Dio che il decoroso benessere nei regni di questo mondo. Diversamente non avrebbe avuto l’audacia di squillare «beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20). E invece di rivendicare giustizia, prospetta l’accettazione del sopruso (cfr Mt 5,39-41), trovando convinto eco in san Paolo (cfr 1 Cor 6,7); senza peraltro accordare onorificenze a chi del sopruso è artefice (cfr Mc 12,40; Lc 20,47).
Stabilire correttamente il rapporto di causa-effetto non sempre è facile. Non saprei decidere se la Chiesa (italiana) sia così giù di tono per avere privilegiato il sociale a scapito del soprannaturale; o se, vistasi in buona parte tagliata fuori, abbia occupato il sociale per avere ancora voce in capitolo. Forse se si tornasse a parlare di eternità potrebbe esserci un risveglio vocazionale. Se il prete-sacerdote tornasse a essere cassa di risonanza del “mi sovvien l’eterno” (Leopardi), forse avrebbe più fascino su potenziali vocazioni che non il prete-sindacalista o assistente sociale, per quanto intraprendente e carismatico possa essere.
Sorprendente è il fatto che la parola aeternus (=eterno) in vario modo declinata, nel Missale latino compare 483 volte! E presumo altrettante in quello italiano. Quindi forse la Chiesa (italiana), che celebra la Messa tutti i giorni trovandosi costantemente sotto gli occhi quella parola, a parer mio dovrebbe prestarle più attenzione!
Mi scusi la Chiesa (italiana) se forse ho osato troppo, ma in fondo questo è un foglio confidenziale fra pochi amici.