Rimuginando
La prima comunione in assoluto è stata ricevuta da adulti, gli apostoli; poi l’età è progressivamente calata sino ad assestarsi alle scuole elementari. La classe resta un po’ a discrezione del parroco.
Questo declassamento biografico della prima comunione è stato un bene o un male? A occhio sembrerebbe un bene per almeno due buone ragioni: 1. se la comunione è così importante, perché rinviarla tanto?; 2. i fanciulli in fatto di innocenza battono certamente gli adulti e, se per fare una buona comunione il primo requisito è di essere in grazia di Dio, nel caso in questione è garantito.
Gli adulti però, almeno i bene intenzionati, battono i fanciulli in fatto di consapevolezza: il famoso “sapere e pensare a Chi di va a ricevere”, richiesto come secondo requisito. Stando a quanto sembra, si direbbe che i fanciulli ricevano la comunione mentalmente deconcentrati, come se andassero a ricevere un cioccolatino. Pochi tornano a posto, dopo ricevuta l’Eucaristia, in contegno devoto e compunto. Altri assumono magari un atteggiamento spropositato, mettendosi in ginocchio, sprofondando il viso fra le mani. Restano un attimo in questa goffa posizione, si fanno un rapidissimo segno di croce stile scaccia-mosce, poi siedono, si dimenano e chiacchierano: lo possono fare tranquillamente perché i genitori li proiettano in ammucchiata ai primi banchi e loro restano indietro, senza tenere sotto controllo il contegno dei marmocchi. Questo l’ho visto in tutte le mie parrocchie.
Ben diverso è il contegno degli adulti, o di certi adulti, che fanno la comunione in maniera seria e inappuntabile, senza leziosaggini e affettazione, ma nella consapevolezza di avere ricevuto ben di più che un cioccolatino.
Come la potrebbe pensare l’inventore dell’Eucaristia che è Gesù? Qualcosa possiamo cogliere dai Vangeli. Vediamo infatti Gesù, a differenza dei discepoli, ben disposto e accogliente verso i bambini. Cito quel Suo invito che conosciamo tutti: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso» (Mc 10,14-15). Ma lasciare che i bambini vadano a Lui non vuole dire necessariamente lasciarli andare spensieratamente alla comunione. Quel suo detto comporta una rivalutazione del bambino in quanto tale, in una cultura che, pur rispettandolo, non lo considerava come emblema di nulla, ma lo vedeva solo come potenziale adulto. Il bambino non aveva nulla da insegnare ma solo tutto da imparare. E Gesù dice: nossignori, anche il bambino può insegnare qualcosa.
Quando poi Gesù a sorpresa istituisce l’Eucaristia, nel corso dell’ultima cena, di bambini non ce ne sono. L’Eucaristia nasce in un ambiente adulto, tra adulti, per adulti.
Perché allora da epoca immemorabile la comunione viene data anche ai bambini? Mi limito a congetturare qualcosa.
Un tempo la società, la cultura, la comunità degli uomini, erano più avvezze al senso di Dio. Mi piace chiamarlo “istinto soprannaturale”. Il riferimento a Dio incideva molto di più. Per usare una collaudata espressione catechistica, era più praticato il “timore di Dio”, già segnalato da Isaia come dono dello Spirito Santo (Is 11,2). Crescendo non c’era opzione di vita al di fuori delle prospettive offerte dal cristianesimo. Tutto ciò proteggeva e salvaguardava la sensibilità religiosa, in una certa misura innata nei bambini, ai quali dunque si poteva concedere l’Eucaristia, con fondata presunzione che andasse a buon fine. Già nella famiglia si respirava un’atmosfera intrisa di appelli religiosi che influivano positivamente sul bambino.
Oggi, come ognuno può vedere, non è più così. La famiglia è a brandelli e per sanarla si stanno legiferando grottesche para-famiglie! Dio è fatto fuori dai riferimenti di vita, se non persino sbeffeggiato. E’ ovvio che in siffatto contesto interessare il bambino al soprannaturale diventa sempre più difficile. L’abbiamo rivisto poche settimane fa: del Natale è rimasto solo il folclore più o meno di buon gusto, ma quanti (fra adulti e bambini) ne hanno percepito l’originaria dimensione religiosa?
Una volta erano i genitori stessi, regolarmente sposati in chiesa, che cominciavano a fornire ai figli i primi rudimenti religiosi, parlando loro di Dio, di Gesù, di sua Madre; educandoli altresì a fare correttamente il segno di croce; dicendo le preghiere mattino e sera con loro, portandoli a Messa appena capaci di presenziare senza gridolini e altre infantili manifestazioni. Successivamente questo incarico pedagogico è stato delegato ai nonni, che hanno acquisito grandi benemerenze sul campo. Il bambino che fin dall’infanzia aveva ricevuto questo trattamento, si presentava al catechismo già religiosamente sgrossato e il catechista doveva dare le necessarie rifiniture. Ma i nonni di domani saranno i genitori di oggi, tra i quali vi sono degli sposati, risposati, trisposati, accoppiati, accompagnati, ammucchiati. Possiamo aspettarci in prospettiva anche gli omo-coniugati. Un guazzabuglio del genere va a scapito del momento religioso dell’educazione, sempre più arretrato nella serie delle priorità, in favore di allenamenti sportivi e scuole di danza.
C’è un’altra iattura: la tradizionale Messa di prima comunione. Troppo enfatizzata, troppo al di fuori dell’ordinario, troppo sbilanciata in esteriorità rispetto alle comunioni successive (se ci saranno). Va ricordato che la seconda, la terza, la quarta, la quinta … la millesima comunione non è meno importante della prima! Non sono un rottamatore, ma la tentazione di ammettere i bambini alla prima comunione in una Messa perfettamente normale, uguale a quella di tutte le domeniche, è forte: senza far indossare la tunica ai bambini e senza altri fronzoli di circostanza (anche se poi lascio che decida il collegio delle mamme).
Se tutto ciò è sensato, la questione della prima comunione deve essere ripensata coraggiosamente. L’Eucaristia è una realtà troppo importante perché ci si possa scherzare sopra. I Vangeli la collocano nella fase terminale della vita di Gesù, proprio «la vigilia della sua passione» (Messale Romano), in prospettiva più di viatico che di prima comunione (cfr Gv 6,53-57).
E’ ovvio che provvedimenti significativi non compete a me prenderli, ma devono discendere da autorità superiore. Ho voluto scrivere queste cose a mo’ di esternazione, per significare il disagio che provo quando mi tocca apparecchiare la prima comunione. Forse è troppo lo spreco eucaristico che da lungo tempo si fa.
Quando mi presenterò al tribunale di Dio (cfr Rom 14,10) non mi sarà chiesto se ho fatto il centro estivo nelle mie parrocchie, ma so ho gestito seriamente e prudentemente i sacramenti per me e per altri. Mi viene dunque un po’ di tremarella …