Seconda domenica di Quaresima

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Domenica scorsa avevamo contemplato Gesù che esce vincitore dalla lotta con il diavolo, il quale vuole mettere in dubbio la sua relazione filiale nei confronti di Dio. Superata questa tentazione, oggi la liturgia ce lo presenta mentre, in compagnia di Pietro, Giovanni e Giacomo, si reca sul monte a pregare. Proprio perché figlio egli cerca spazi di intimità dove rinsaldare e approfondire il legame con Colui che è l’origine e il fine della sua vita. L’intensità di questo incontro è così potente da manifestarsi persino attraverso la sua corporeità: il suo volto e la sua veste testimoniano così la profondità del rapporto tra Padre e Figlio, un Figlio che rivela attraverso i segni della sua umanità – il viso e l’abito – la sua totale partecipazione alla gloria divina. Testimoni di questo evento eccezionale sono Mosè ed Elia, la Legge e i Profeti. Qui Luca si distingue rispetto agli altri sinottici poiché, mentre Marco e Matteo si limitano ad affermare che essi conversavano tra di loro, egli rivela il contenuto del loro discorrere: essi “parlavano del suo esodo che stava per compiersi a Gerusalemme”. È l’esodo della Pasqua, l’uscita da sé, il dimenticarsi per amore donando la vita per il mondo. Se nel percorso della quaresima ci viene presentata una scena dalla bellezza folgorante, una bellezza che suscita in Pietro il desiderio di eternizzare quel momento, è per invitarci a contemplare già ora quella gloria luminosa del Signore, che troverà la sua completa manifestazione nel dono di sé per amore quale si realizza nel mistero pasquale. È arduo e impegnativo quanto la Chiesa propone presentando il brano della trasfigurazione all’interno del percorso quaresimale: si tratta di superare la tentazione di fermarsi a contemplare la sublime bellezza del Cristo trasfigurato in modo superficiale, puramente estetico, oppure di volerla possedere, trattenere per sé al fine di poterne godere. È questa la grande tentazione di Pietro, il quale in modo irrealistico aspira a dare continuità all’esperienza che stanno vivendo. Attraverso dei minimi – eppur significativi – dettagli Luca mette in risalto come i tre testimoni della scena non siano consapevoli di quanto sta capitando: non sono solo le parole di Simone a dimostrarlo, ma anche il sonno e la paura che li assale quando li avvolge la nube, segno della teofania di Dio. Le parole che il Padre pronuncia sono una conferma della figliolanza di Gesù, quale era già stata proclamata al momento del battesimo, e un invito ad ascoltarlo. Per gli apostoli come per noi non si tratta però semplicemente di prestare attenzione al contenuto del messaggio; ci viene piuttosto richiesto di interiorizzare, di cercare il significato spirituale di quanto egli dice e compie. In particolare, la scena della trasfigurazione è un invito a custodire nel cuore il senso profondo di ciò che è avvenuto per rileggerlo alla luce della Pasqua: Gesù è il Figlio, è la bellezza personificata non solo nello splendore del Tabor ma anche quando, sfigurato dal dolore, china il capo sul legno della croce. Il culmine di questo mistero si esprime, dunque, nell’amore che si dona: un amore a cui siamo chiamati anche noi nella fiducia che, così come è accaduto per Gesù, anche per noi ogni sofferenza, ogni parola e ogni gesto oblativo troveranno la loro pienezza nella risurrezione di Cristo e nelle nostre grandi o piccole risurrezioni quotidiane.