Seconda Domenica di Quaresima Mt 17,1-9
– In ascolto della Parola di Dio –
a cura di Mons. Alberto Albertazzi –
La Quaresima non è solo cenere e guerra alle tentazioni. È anche bellezza e contemplazione. Lo si evince tutti gli anni alla seconda domenica, in cui sfavilla la Trasfigurazione. Questo improvviso del Figlio di Dio ha tutta l’aria di un’apparizione del Risorto, anticipato a metà strada dagli evangelisti, forse per non tenere il lettore troppo col fiato sospeso. Gesù stesso, ritornato nella sua consistenza ordinaria, mentre con i tre scende dal monte, ingiunge loro di tenere per sé quella visione, almeno finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti. La Quaresima, dunque, con largo anticipo strizza l’occhio alla Pasqua, segnalando che proprio in essa troverà il suo approdo liturgico.
La Trasfigurazione ha un preavviso più o meno enigmatico, omesso dall’odierno taglio liturgico: «In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di avere visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno» (Mt 16,28). E subito dopo questa dichiarazione gli interessati si incamminano verso la Trasfigurazione.
Si nota l’imbarazzo narrativo degli evangelisti nel darne conto. Anche il più misurato Matteo si percepisce che arranca – pur senza giungere alle amabili goffaggini di Marco che, a proposito delle vesti candeggianti di Gesù, dice che neppure un lavandaio professionista le avrebbe sbiancate a tal punto. È la solita storia: quando la penna umana si cimenta col soprannaturale, fa una figura tapina. Intervengono sulla scena prestigiose personalità dell’Antico Testamento a dialogare con Gesù: Mosè ed Elia. Matteo tace l’argomento di conversazione, spifferato invece da Luca che dice i tre impegnati a discorrere dell’imminente fine di Gesù in Gerusalemme, ossia della crocifissione.
Esplode poi di slancio Pietro, travolto dall’entusiasmo: «Signore, è bello per noi essere qui». E se si fosse limitato a esultare per quella sua stupefacente fruizione estetica, forse si sarebbe anche prolungata. Svanisce purtroppo per l’ingenua proposta delle tre tende, una per ciascuno dei tre illustri personaggi in conversazione.
L’incanto si è rotto per l’intrusione dell’umano nel divino. Pietro, certamente non timido, si è intromesso intempestivamente, e il tutto svanisce. Però intanto l’apostolo ci lascia uno spunto che dev’essere generalizzato: il soprannaturale è bello. Allarghiamo pure gli orizzonti: la fede non è soltanto bontà e verità, è anche bellezza. È pure l’esultanza di Manzoni nel 5 maggio 1921: «Bella, immortal, benefica fede». E il bene e il bello si identificano nell’allegoria del buon pastore (Gv 10,11), leggibile nell’originale greco anche e forse meglio con “il bel pastore”. Nelle lingue bibliche vi sono aggettivi che esprimono il polo della positività, mescolando insieme bontà e bellezza.
Ma torniamo a noi. Dopo l’accennata esplosione estatica di Pietro, si ritorna all’imbarazzo narrativo nello scrittore che accetta, persino divertito, una marchiana incongruenza: «Una nube luminosa li coprì con la sua ombra». Se era luminosa come poteva fare ombra? Questa domanda banalizza razionalisticamente l’atmosfera soprannaturale. Nell’immaginario biblico, già dai tempi di Mosè (Es 16,3 e passim), la nube è segnaletica del divino. E dalla nube esplode una voce in buona parte già sentita: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». Questa voce, alto l’invito all’ascolto, era già risuonata su Gesù emergente dal battesimo. Il tonante imperativo «ascoltatelo» conferisce spessore spirituale alla Quaresima, in cui la parola di Dio più che mai va ascoltata.