Si capisce Dio vivendo la sua bontà – XXV domenica tempo ordinario

Anche questa domenica l’evangelista Luca ci racconta una parabola, quella «dell’amministratore infedele». Gesù ci invita a investire i nostri beni nel grande fiume dell’Amore per entrare nel Regno di Dio: per questo anche il denaro può diventare una chiave capace di aprire le porte del paradiso. Perché accada, tuttavia, occorre riconoscere che l’unico “grande tesoro” è Dio e gli impedimenti per possederlo non sono, quindi, altrove che in noi stessi. Per giungere a questo “tesoro” c’è solo una via, quella dell’amore; chi non ama non potrà mai conoscerlo e quindi neanche comprendere la vita, dato che Cristo è Verità e Vita insieme, è la «perla preziosa» che l’uomo cerca durante la propria esistenza. L’amore ci porta a una particolare attenzione verso i poveri: questa preferenza non riduce il senso universale del cristianesimo, ma gli dà il giusto slancio. Lo sottolinea Benedetto XVI, che nell’enciclica Deus Caritas est scrive: «La carità agape travalica le frontiere della Chiesa, la parabola del buon samaritano rimane come criterio di misura, impone l’universalità dell’amore che si volge verso il bisognoso incontrato “per caso” (Lc 10, 31), chiunque egli sia”» (n. 25). La storia dell’amore evangelico inizia fin dai primi passi della comunità cristiana. Possiamo coglierla in quei brani degli Atti degli apostoli che riassumono la vita dei primi credenti: «La moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un’anima sola, né vi era chi dicesse suo quello che possedeva, ma tutto era fra loro in comune…» (At 4, 32). A noi sembra difficile attuarlo oggi nelle nostre comunità: è arduo, ma non impossibile. Ci viene in aiuto il brano di S. Paolo ai Corinzi: «Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli… ogni primo giorno della settimana (la domenica), ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare» (1 Cor 16,2). Ecco il gesto e il suo significato che veniamo invitati a compiere ogni domenica durante l’assemblea liturgica. Come diceva Dostoevskji: chi conosce la “carità” si spinge negli estremi territori della pietà e della compassione, disposto a perdersi, pur di salvare una sola scintilla umana dalla rovina.