Solennità del Corpus Domini
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
La pericope odierna, composta di due parti, narra l’Istituzione dell’Eucaristia. La prima descrive in modo accurato la preparazione di quel momento centrale della vita di Gesù, come si evince dalla ripetizione del verbo “preparare” e dalla spiegazione precisa e puntuale offerta dal Signore, che suggerisce tutti i dettagli per lo svolgimento della cena. I discepoli delegati per organizzarla sono così forniti di tutti gli elementi necessari per trovare il luogo in cui essa si dovrà svolgere; si tratta di una grande sala, situata al “piano superiore”, “arredata e già pronta”. Una descrizione così particolareggiata invita ad andare oltre al significato primo e più evidente e a interrogarsi in merito a questo luogo. Esiste, infatti, uno spazio interiore e profondo che è allo stesso tempo “superiore”, perché riguarda le facoltà più elevate della nostra persona, in cui il Risorto può mangiare con noi la sua Pasqua. Questo luogo è il nostro spirito, la sede della vita e dell’amore in cui abita la Trinità e dove avvengono il dialogo e l’incontro d’amore tra Dio e l’uomo. Di tale luogo Teresa d’Avila aveva detto che nulla si può paragonare alla sua grande bellezza e alla sua immensa capacità. Paradossalmente, però, questo luogo “superiore” rischia di essere drammaticamente trascurato. Le preoccupazioni per il corpo, l’inquietudine della nostra psiche, unita alla sua tendenza a creare problemi che, appena risolti, ne generano altri, ci bloccano ai piani inferiori della nostra persona. La solennità di oggi può così costituire uno stimolo a ricercare in noi quello spazio in cui può realizzarsi l’incontro, quel luogo in cui siamo invitati a cena con il Maestro. La seconda parte della pericope rivela allora che cosa avviene in quella stanza. Gesù lo aveva precisato in precedenza: si tratta di “mangiare la Pasqua” con i discepoli; ora le sue parole e i gesti conseguenti ne rivelano la portata unica ed eccezionale. Della tradizionale cena ebraica compaiono solo due elementi: il pane, l’alimento indispensabile perché tiene in vita, e il vino, l’eccedenza che rende gioiosa e illumina l’esistenza. Su di essi Gesù compie delle azioni fortemente significative. Innanzitutto egli recita la benedizione; il primo gesto è, quindi, in riferimento al Padre: se tutto quanto succede avviene nella logica del dono, l’atto iniziale non può non essere un richiamo all’Origine, a quell’”alto” da cui provengono “ogni cosa buona e ogni dono perfetto” (Gc 1,17). Il secondo atto consiste nello “spezzare”, richiamo alla partecipazione, alla condivisione: in quella stanza non avviene solo un contatto personale e profondo tra l’uomo e Dio, ma si realizza un incontro che crea una comunità. Così, anche il nostro spazio interiore non è destinato solo all’unione intima e totale con Dio, ma deve diventare un luogo di accoglienza e condivisione, quella tenda di cui parla il profeta Isaia, le cui “porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno né di notte” (Is 60,11). I verbi che seguono permettono di entrare pienamente nel mistero che oggi celebriamo: si tratta di verbi che evidenziano il dono totale di sé da parte del Figlio, la realizzazione piena dell’alleanza fra Dio e l’uomo, il desiderio e la disponibilità di Gesù di saziare ogni nostra fame e ogni nostra sete, la sua totale dimenticanza di sé per rendere felice l’uomo e il suo ardente desiderio di comunione con noi. Affrettiamoci, allora, a entrare in quella sala “al piano superiore” per accogliere la sovrabbondanza di doni che egli ci vuole offrire.