Solennità della Santissima Trinità
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
In questa solennità della Santissima Trinità forse ci saremmo aspettati di trovare un brano di Giovanni, come nei cicli A e C, e non un testo di Matteo proprio nell’anno B in cui si legge Marco. Quest’apparente stranezza invita ad approfondire lo sguardo per cogliere nel Vangelo proposto il significato della festa che celebriamo. Prima di separarsi da loro Gesù chiama gli Undici, segno realistico di una Chiesa ferita dal tradimento e dal peccato, e li invita a ritrovarsi sul Monte, luogo privilegiato dell’incontro con Dio, spazio che favorisce il legame tra la terra e il cielo. Qui i suoi manifestano quella fragilità che accompagnerà i discepoli di ogni tempo: all’adorazione si accompagna il dubbio, quel sospetto insinuato nell’uomo dal Tentatore che ostacola l’abbandono, la fiducia totale e senza riserve nel Dio datore di vita. Ancora una volta Gesù non si lascia condizionare dalle nostre resistenze e, come buon samaritano, si avvicina per rivelarci il mistero della sua identità affinché possiamo trovare in lui ciò che guarisce le paure, sana le insicurezze, dona significato all’esistenza. Egli si rivela così come colui a cui “è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”, un’affermazione che invita a coniugare la grandezza di Gesù, il riconoscimento della sua divinità, con il modo in cui tale “potere” viene esercitato. Certamente non secondo lo stile degli uomini, fatto di prevaricazione, abuso, sottomissione dell’altro, ma alla maniera di Dio attraverso il perdono e la vittoria sul male. L’unico potere che Gesù, uomo-Dio, conosce è infatti l’umile amore da parte di chi ha donato la vita per la nostra salvezza. All’autorivelazione segue l’invito a una missione senza confini, che consiste in primo luogo nel dono del battesimo. La precisazione “nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo” introduce nel mistero che oggi celebriamo: essere battezzati non costituisce un semplice rito di purificazione, come avveniva per il battesimo di Giovanni Battista, ma significa essere immersi nella vita di Dio, una vita che è comunione tra il Padre e il Figlio nel legame d’amore dello Spirito Santo e a cui il discepolo è invitato a partecipare. Subito dopo Gesù spiega come questa incredibile possibilità che ci è donata si possa realizzare: si tratta di “osservare” tutto ciò che lui ha comandato. Tale espressione non deve però essere interpretata come un invito ad aderire passivamente a delle norme; siamo piuttosto sollecitati a nutrirci della sua Parola che introduce in un nuovo modo di pensare, sentire, relazionarsi con Dio, con gli altri e con il mondo. È permettere allo Spirito di agire in noi, trasfigurando il nostro cuore di pietra in un cuore di figlio, sempre più simile a quello del Figlio che ora vive nell’eterna comunione con il Padre. Quel Figlio che ora abita ai cieli, tuttavia, non ci abbandona; il brano del Vangelo termina infatti con la grande promessa: “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. L’uomo-Dio che si fa vicino è anche una presenza stabile, sicura, che vive accanto a noi in ogni istante della nostra esistenza e per sempre. Così era stato presentato il bambino a Giuseppe all’inizio del Vangelo di Matteo, così egli si ripresenta ai suoi alla fine. Dio è fedele: la sua parola rassicura, sostiene e, nella fatica, invita a non porre limiti alla speranza.