Solennità dell’Ascensione

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

In questa solennità dell’Ascensione la seconda lettura inizia con un augurio che si fa preghiera, dove Paolo chiede a Dio per gli Efesini e per ognuno di noi “uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui”. Sappiamo come nella Scrittura il termine “conoscenza” alluda a un’intensa intimità che può realizzarsi solo attraverso un’illuminazione dello sguardo, grazie alla quale è possibile penetrare il mistero dell’identità dell’altro, di chi è conosciuto. Per noi, come per i discepoli dopo l’ascensione, non sono più gli occhi a percepire la presenza del Signore ma la fede; d’altronde Matteo nel suo Vangelo mette in risalto come anche il presentarsi del Risorto in mezzo ai discepoli non sia sufficiente a far sì che il loro cuore incerto non dubiti. Ormai è solo dall’interno, da un animo fiducioso e fedele, che si può avere accesso alla persona di Gesù, il quale oggi per l’ultima volta rassicura i suoi avvicinandosi e pronunciando una parola di incoraggiamento: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”. Colui che avevano visto crocifisso e sfigurato ora dichiara di avere il possesso di ogni realtà. Affermazione estremamente rassicurante per loro che fino a un istante prima avevano dubitato; a queste parole possono così aderire per trovare il coraggio di seguire l’invito che il Signore rivolge a loro come a noi: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli”. Un incarico da capogiro per quegli uomini insicuri e timorosi, realizzabile solo se, attraverso un legame personale profondo, sapranno attingere la forza non dalle loro capacità ma dalla potenza del Risorto. Per questo i suoi, appoggiandosi sulle sue parole, potranno accogliere l’appello ad “andare”, appello che non esprime solo un comando ma evoca anche un invito a sciogliere le vele e prendere il largo. La finalità di questo mettersi in cammino oltre i confini del loro piccolo mondo si staglia su di un orizzonte estremamente ampio – “fate discepoli tutti i popoli” – e si realizza attraverso due azioni: “battezzare” e “insegnare”. Il battesimo che i discepoli sono chiamati a somministrare non sarà un battesimo di penitenza come quello di Giovanni Battista; la ripetizione per ben tre volte dell’espressione “nel nome”, riferita al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, mette in evidenza il legame che si instaurerà, proprio grazie al battesimo, con le persone della Trinità, legame attraverso il quale saranno introdotti in una comunione di vita e di amore. Perché tutto ciò si possa realizzare sarà necessario l’insegnamento, la conoscenza della Parola del Signore che nel battezzato dovrà diventare vita vissuta. Questo invito arduo e faticoso è però suggellato da una promessa la cui durata è infinita e, di conseguenza, riguarda anche noi: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. La parola del profeta con cui si era aperto il Vangelo di Matteo: “A lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi” è così riconfermata per i suoi e per noi. Scopriamo allora di non essere soli ma che, in un modo non percepibile ai sensi del corpo eppure riconoscibile da quelli interiori. Qualcuno che ora appartiene al mondo di Dio è “con noi”. Un “con” che parla di presenza, vicinanza, solidarietà, comunione e nello stesso tempo ci rende fratelli, capaci di condividere un così grande dono con tutti.