Solennità dell’Epifania Mt 2,1-12
– Le due epifanie del Signore –
a cura di Mons. Alberto Albertazzi –
Il termine epifania nelle liturgie occidentali si è solidificato sulla visita dei Magi a Betlemme (Mt 2,1-12). Ma se epifania significa manifestazione, tutta la vita di Gesù è epifanica, seppure con dei picchi elevati nei quali la sua divinità sembra esondare dalla sua umanità.
A ben considerare l’epifania ai Magi è modesta. Questi scarpinatori orientali sono giunti a destinazione e «videro il bambino con Maria sua madre» (Mt 2,11). In ciò una normalissima scena di maternità, che sembra avere ben poco di epifanico, con lo spessore che noi ormai diamo al termine. È il contorno che “epifanizza” la scena: i Magi sono allertati e guidati da una stella compiacente, si presentano con doni non da poco, adeguati a chi è ricercato come «re dei Giudei» (Mt 2,2); si registra la montante inquietudine di Erode, che si spinge sino alla strage degli innocenti.
In una madre con un bimbo in braccio tutto molto bello ma nulla di eccezionale: è solo la metà di un noto dipinto di Giovanni Segantini (Le due madri). È molto più epifanica ad esempio la trasfigurazione (6 agosto), ove si contempla Gesù scintillante di divinità, a colloquio con auguste personalità del passato. E poi la didascalia paterna: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo» (Mt 17,6 e par.).
Non spiace comunque che le liturgie occidentali abbiano voluto privilegiare anche un’epifania infantile, per giunta a carattere universalistico: i Magi infatti, nella loro indeterminatezza di provenienza, di numero (quanti erano?), di nomi (come si chiamavano?), hanno i requisiti per rappresentare le popolazioni non giudaiche alla ricerca del Messia di origine controllata e garantita, inverando una sfilza di profezie anticotestamentarie, prima fra tutte quella che si legge il 6 gennaio in prima lettura (Is 60,1-6).
Anche la domenica dopo l’Epifania ha carattere epifanico, in quanto il pur brevissimo taglio evangelico (Mt 3,13-17) offre la prima epifania adulta di Gesù. Anch’egli si mette in coda e fa anticamera al battesimo di Giovanni, che lo amministrava per siglare intenzioni penitenziali.
Ma di che cosa doveva pentirsi chi «è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (Ebr 4,15)? È stata una scelta di campo: a favore del peccatore, col quale solidarizza accettando il medesimo trattamento penitenziale, ma contro il peccato. Non sorprende la ritrosia giovannea dinanzi a quella richiesta battesimale: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?» (Mt 3, 14). Giovanni, implicitamente, si riconosce peccatore anche lui. Infatti uomo e peccatore sono perfettamente sinonimi. Gesù dà una risposta criptica: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia» (Mt 3,15). Quest’ultimo termine – giustizia – si deve prendere in senso attivante di iniziativa che produce la giustificazione. È il piano giustificante di Dio che comincia concretamente e mettersi in moto.
Simile concetto di giustizia si legge in Gv 16,8-11. A battesimo avvenuto, ecco la grande inquadratura epifanica: lo Spirito Santo, sotto parvenza colombina, scende su Gesù e la voce paterna lo manifesta sonoramente come suo amato Figlio. Ecco la prima “carta d’identità trinitaria” del Nuovo Testamento: Padre, Figlio e Spirito Santo cominciano a battere colpi sinergicamente, “epifanizzandosi”, ossia manifestandosi congiuntamente. E comincia a sbozzarsi il segno di croce.
Le liturgie orientali privilegiano questa ricorrenza trinitaria, certamente di più elevato spessore teologale. La liturgia copta invece predilige le nozze di Cana (Gv 2,1-11), ove Gesù, avendo trasformato l’acqua in vino, «manifestò la sua gloria [= epifania] e i suoi discepoli credettero in lui». Diamo all’aoristo greco (epìsteusan) tradotto con “credettero” un valore ingressivo, come se fosse “cominciarono a credere”.
La fede infatti è un’avventura in divenire; diversamente, i discepoli non avrebbero chiesto a Gesù: «Aumenta la nostra fede» (Lc 17,5).