Solennità di Cristo Re Lc 23,35-43
Cristo è l’unico, autentico re –
a cura di Don Luciano Condina –
Può essere scioccante proclamare Gesù Re dell’universo celebrandolo nel momento in cui è appeso a una croce, insultato, morente senz’alcuna dignità. Che re assurdo! Sarebbe questo il regno dei cieli e questo lo stile del regno di Dio? Giustamente, il malfattore che ricorda a Gesù che, se è re, dovrebbe salvarsi e salvarli non erra poi così tanto, perché la richiesta è sensata. Non facciamo anche noi come costui, quando le difficoltà, soprattutto atroci, della vita ci sovrastano e preghiamo implorando Dio – se è tale – di farci guarire, di salvare i nostri figli, di non farci perdere il lavoro e via dicendo? Noi siamo come quel malfattore e comprendiamo che forse non è così malvagio come spesso lo consideriamo.
La regalità di Gesù è proclamata, invece, dall’altro malfattore che ne riconosce l’innocenza: è proprio quell’innocenza che lo rende re, perché è venuto a salvare noi, non se stesso; altrimenti non sarebbe sceso sulla terra. Questo è un re vero: colui che si occupa del suo popolo e ne cerca il bene maggiore. E questa parola è un monito per tutti coloro che hanno il potere su questa terra e sono al governo delle nazioni.
Salvando se stesso, Cristo avrebbe negato la propria identità. Una domanda teologica che appare priva di senso è la seguente: Dio può suicidarsi?
Se Gesù fosse sceso dalla croce, avrebbe ucciso la propria divinità; a questa risposta si potrebbe replicare che sì, scendendo dalla croce Dio si sarebbe suicidato. L’epilogo del passo evangelico è meraviglioso, pur collocandosi in una scena tenebrosa: benché osserviamo la croce, il dolore, la morte incipiente, Cristo attesta la sua regalità regalando il paradiso all’uomo che si trova di fianco a lui, un malfattore. Ricordiamolo noi tutti che riteniamo il paradiso una conquista a colpi di opere buone, neopelagiani del terzo millennio. Non è un caso l’assonanza vocale e di radice dei termini “regalo” e “regale”.
È pazzesco che Gesù, non avendo più niente, nell’impossibilità totale possa donare il tutto più grande. Con le mani inchiodate, sinonimo di non sapere più cosa fare; con i piedi inchiodati, sinonimo di non saper più dove andare; con il capo coronato di spine, sinonimo di non saper più cosa pensare al punto che la testa scoppia; poco dopo con il fianco squarciato, sinonimo di un cuore in pezzi; ebbene, in queste condizioni comuni per noi quando la vita ci abbatte con i dolori più tremendi, possiamo vivere la regalità di Gesù, standogli accanto. «Oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43): significa non solo che di lì a poco, dopo la morte, Cristo e il “buon ladrone” saranno in paradiso, ma che quell’“oggi”, lì sulla croce, quello stare di fianco a Gesù è già paradiso.
Che cosa cambia un luogo – persino un patibolo – in anticamera del paradiso? Stare con Cristo. Non dobbiamo preoccuparci di dove siamo, ma con chi; non dobbiamo preoccuparci delle situazioni intorno a noi, ma se siamo con Cristo. Il ladrone, riconoscendo le proprie colpe, ci indica una buona porta per accedere al paradiso; e non è un caso che ogni celebrazione eucaristica cominci con il farci riconoscere le nostre povertà.
Nella solennità di Cristo Re, il Signore ci aiuti ad essere come il malfattore: capaci di riconoscere i nostri peccati e l’innocenza di Dio, di credere al suo regno e al futuro, all’opera che Dio porterà a compimento, per diventare sudditi di un solo, autentico re, non di altri.