SOLLAZZI LEGISLATIVI

Signore, tu hai parole di vita eterna. Il timore del Signore è puro, rimane per sempre; i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti.
 
 
Signore, tu hai parole di vita eterna. Il timore del Signore è puro, rimane per sempre; i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti.

– a cura di Mons. Alberto Albertazzi – Luglio 2020 – 

Ma legge del Signore non è soltanto perfetta, arreca pure benessere tanto che “rinfranca l’anima”. Pare che il Salmista ravvisi nella legge del Signore un’efficienza ricostituente, che fa bene quando si è un po’ mogi, giù di corda o, per dirla con linguaggio un po’ più professionale, quando si è depressi. Probabilmente il Salmista intuisce nell’espressione “rinfranca l’anima” un supporto difensivo contro il peccato; in quanto se uno si attiene ai comandamenti la sua anima respinge in automatico le tentazioni.  Quindi intende la legge del Signore nella sua innegabile e prioritaria efficienza etica. Ma si percepisce anche una energia risollevante, che mette di buon umore e rasserena il pensiero. Quindi alla legge del Signore attribuirei anche uno straordinario effetto psicologico, peraltro sperimentato pure dal Salmista che, nella strofa successiva, esulta:

I precetti del Signore sono retti,

fanno gioire il cuore;

il comando del Signore è limpido,

illumina gli occhi.

Che siano retti è più che scontato. La novità è che sono pure sorgente di gioia e di luce interiore.  Pare che il nostro poeta anticotestamentario già percepisca con largo anticipo quella “intrusione” del divino in noi, che chiamiamo catechisticamente “grazia di Dio”. Notiamo pure il singolare globalizzante “il comando”, che generalizza ben più che una rassegna centellinata di tutti i comandamenti. Questa luminosità legislativa non è da intendersi soltanto, e sommessamente, come chiarezza di formulazione, ma è la luce stessa di Dio (cfr 1 Gv 1,5) che scintilla nei suoi precetti. Dio è talmente luce e amante della luce che, quando si accinge a creare, la prima cosa che fa è toccare l’interruttore: “E Dio disse: sia la luce, e la luce fu” (Gen 1,3).

Ogni precetto, di qualunque tipo e da qualunque autorità emesso, produce almeno un pizzico di soggezione. Ne è consapevole il Salmista che tira in ballo il timore:

Il timore del Signore è puro,

rimane per sempre.

Riprendiamo la nostra galoppata sui salmi, che avevamo interrotto il mese scorso. Avevamo visitato in maggio la prima parte del salmo 18, ora ci resta la seconda. La prima parte (vv  1-7) si poteva intitolare “lode a Dio creatore”, la seconda (vv 8-15) invece “lode a Dio legislatore”. Questo secondo titolo laudativo ci suona strano, perché non entra facilmente nelle nostre categorie di pensiero in quanto nella legge, o poco o tanto, si ravvisa un limite alla libertà. Ma questa è la nostra odierna mentalità libertaria. Secondo la logica di questo salmo la legge deve essere amata e ammirata per il solo fatto di essere di Dio, a prescindere dalla natura, significato e contenuto dei singoli precetti, che nella Bibbia sono un’infinità seppure di ben differente portata.

La prima precettistica biblica sono i dieci comandamenti (cfr Es 20; Dt 5). Ma, tanto per averne una misura quantitativa, il libro del Levitico conta 27 capitoli, quasi tutti di profilo legislativo. A noi però piace immaginare che l’entusiasmo appassionato del Salmista sia per i dieci comandamenti, sui quali esordisce dichiarando:

La legge del Signore è perfetta,

rinfranca l’anima.

Che la legge del Signore sia perfetta è un’ovvietà scontata, quasi banale ma, effettivamente, se si visitano mentalmente i dieci comandamenti, uno per uno, se ne nota l’impareggiabile saggezza, perfettamente associabile a ciò che noi siamo soliti chiamare buon senso. Tutto ciò che è indispensabile per una ragionevole regolazione dei rapporti verso Dio e verso il prossimo, è sinteticamente definito in queste dieci rapidissime formulazioni, che non hanno nulla di penale ma offrono soltanto eccelsi contributi educativi. Quasi li potremmo globalizzare nella formula di “codice pedagogico”.

Aggettivazione alquanto insolita. Cosa significa che il timore del Signore è puro? Si può dare anche un timore impuro? E per giunta non è ondivago o a corrente alternata, perché, se c’è ed è vero, rimane per sempre. Il timore del Signore è il supremo regolatore dell’etica biblica. Chi progetta la propria vita nel timore di Dio è messo al sicuro da ogni immondezza di spirito, di cuore e di mente. Non si vuole dire che il timore del Signore sia puro in se stesso, ma che è produttore e garanzia di purezza; e per giunta di una purezza stabile, che “rimane per sempre”.

O poco o tanto i precetti sono in connessione con i giudizi, che vengono pronunciati sulla loro esecuzione. Il Salmista li blandisce con raffinatezza “gastronomica”:

i giudizi del Signore sono fedeli,

sono tutti giusti,

più preziosi dell’oro,

di molto oro fino,

più dolce del miele

e di un favo stillante.

Ingenua e piacevolissima fantasia poetica! Com’è possibile entusiasmarsi tanto per un giudizio, che in ogni caso dà sempre del filo da torcere a chi ne è coinvolto? Viene in soccorso il salmo (103)102,8.10:

misericordioso e pietoso  è il Signore,

lento all’ira e grande nell’amore.

Non ci tratta secondo i nostri peccati

e non ci ripaga secondo le nostre colpe.

Tornando ai sullodati giudizi di Dio, tutti fedeli e giusti, il Salmista dichiara:

Anche il tuo servo ne è illuminato,

per chi li osserva è grande il profitto.

A quell’anche iniziale mi piacerebbe dare il significato di perfino, quasi a dire: “sono talmente appaganti” che li osserva persino un mamalucco come il tuo servo”!  E a rispettarli c’è tutto da guadagnare (l’ebraico ‘heqeb, reso da CEI 2008 con “profitto”, si poteva tradurre meglio con ricompensa. Il termine profitto mi sembra un po’ troppo commerciale).

A questo punto il Salmista modera l’entusiasmo e si rovista nell’intimo:

Le inavvertenze, chi le discerne?

Assolvimi dai peccati nascosti.

Una realistica tonalità penitenziale non poteva mancare verso la conclusione. Gli inesplorati meandri occulti della coscienza sono in realtà palesi a Dio, quindi anche dei peccati più reconditi bisogna chiedere perdono. Affiora a questo punto la scrupolosa etica anticotestamentaria che etichettava come peccato anche un’involontaria violazione della legge (cfr Lev 4,1-35). Poi per fortuna le cose sono cambiate. Diversamente ci sarebbe da dire: si salvi chi può!

Il salmo si avvia alla conclusione segnalando a Dio un punto debole, un fronte da difendere:

Anche dall’orgoglio salva il tuo servo

perché su di me non abbia potere.

Dopo aver chiesto difesa dalle insidie dell’orgoglio, il Salmista fa una richiesta di gradimento:

Ti siano gradite le parole della mia bocca;

davanti a te i pensieri del mio cuore,

Signore, mia roccia e mio redentore.

Splendida questa rocciosità terminale riconosciuta a Dio, nel quale tutti facciamo bene a confidare. E’ una nota caratteristica del Dio biblico: misericordioso, lento all’ira – come abbiamo visto – ma non mammola. Non sappiamo quanto le parole del Salmista siano gradite al Signore, ma di certo a me, e spero ad altri, sono piaciute moltissimo.

La sapiente Liturgia delle Ore colloca questo salmo, grondante sollazzo legislativo, in testa all’immane salmo 119(118), le cui strofe, esse pure inneggianti alla legge, si danno staffetta in ordine alfabetico (che si percepisce soltanto nell’originale ebraico. Salmo commentato nel foglio febbraio 2019).

giorno dopo giorno per la quattro settimane strutturanti le preghiera ufficiale della Chiesa: sempre all’ora media, sempre in prima posizione. Fanno eccezione le domeniche, il lunedì della prima e il venerdì della terza settimana.