SS. Trinità Gv 16,12-15
Entriamo nella “famiglia di Dio” –
a cura di Don Luciano Condina –
La solennità della Santissima Trinità va un po’ sdoganata dal senso puramente teologico: certo è una realtà trascendente, ma dobbiamo capire che la teologia è atto secondo rispetto a quello primario dell’esperienza di fede.
Tutto ciò che sappiamo di Dio ce l’ha rivelato pienamente Gesù: Egli fa ciò che ha visto fare e ha imparato dal Padre, dona quello che da Lui ha ricevuto. Noi sappiamo di Dio, del suo essere Padre, per mezzo di Gesù. Quello che la Chiesa annunzia non è un’affascinante teoria tessuta da connessioni filosofiche coerenti con se stesse: noi abbiamo conosciuto il Signore, Gesù di Nazareth, il quale si è rivelato come messia; l’abbiamo conosciuto e sperimentato quale figlio di Dio, e abbiamo appreso che il Dio d’Israele è Padre ed è una cosa sola con il Figlio.
Noi cristiani di oggi non abbiamo incontrato Gesù di persona, però ne abbiamo un’esperienza diretta attraverso il suo Spirito, che ci parla di Lui. Il nostro rapporto con Dio passa dall’esperienza diretta dello Spirito Santo che glorifica Gesù, ce ne dà il peso, ci rivela la sua gloria, la verità; e conoscendo Gesù conosciamo il Padre.
Parliamo di «mistero della fede». Il termine mystèrion in greco indica non solo qualcosa di inspiegabile, incomprensibile, ma è qualcosa che può essere compreso facendone esperienza. Per conoscere un brano musicale lo devo ascoltare, e non potrò mai spiegarlo a un sordo, così come non potrò mai spiegare un colore a un cieco. Solo facendone esperienza si può entrare nel “mistero”; anche nel mistero del Dio trinitario.
Questa solennità, allora, ci invita non solo a contemplare ma a “fare esperienza” dello Spirito Santo, del Signore Gesù Cristo e ad aprire il canale del rapporto con il Padre. Fare esperienza dello Spirito Santo vuol dire automaticamente essere rinviati al Figlio. Lo Spirito non parla di se stesso, ma annunzia tutto ciò che ha udito e annunzierà le cose future. In ciò noi abbiamo una memoria illuminata dalla salvezza di Cristo, un’identità inondata di pace dall’esperienza della paternità di Dio, un agire intenzionale, aperto al futuro, alle cose verso cui andiamo, ispirato e finalmente reso bello e sereno da Qualcuno che ci annunzia le cose che verranno. Se lo Spirito Santo è colui che nel futuro mi annunzia la Provvidenza del Padre, la salvezza di Cristo, allora, obbedendo a questo annunzio, vivremo un’esistenza bella, priva e spogliata finalmente da quel senso di vicolo cieco che tante volte è la lettura della nostra storia. Se un malato vive la sua patologia con lo Spirito Santo che gli annunzia le cose future – cioè dove essa lo porta – non avrà più paura; e quella malattia diventa costruzione, bellezza e fecondità. Se un ragazzo cresce con un futuro illuminato dal senso della Provvidenza di Dio, cresce sereno. Tante volte i giovani sono angosciati, schiacciati dalla paura di non essere all’altezza delle cose future. Lo Spirito Santo annunzia a tutti che davanti a noi c’è la Provvidenza.
Padre Pio affermava: «Il passato ha la misericordia, il presente ha la Grazia il futuro ha la Provvidenza»; una formula che riguarda la Santissima Trinità: il passato nelle mani della misericordia di Dio, il presente nel rapporto con Gesù Cristo, e il futuro nell’obbedienza alla bellezza che lo Spirito Santo suggerisce al nostro cuore.
Possa questa solennità essere davvero la festa in cui smettiamo di stare davanti alla nostra avventura esistenziale come estranei e iniziamo ad essere partecipi della famiglia di Dio, dell’intimità di Dio, allegri e sereni figli del Padre celeste, fratelli di Cristo, obbedienti allo Spirito consolatore.