Terza domenica di Avvento

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

“Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni”: così inizia il Vangelo di questa domenica ed è interessante notare come, ancor prima di presentare l’identità di uno dei protagonisti di questa pericope introducendone il nome – Giovanni -, di lui si dice che era “mandato da Dio”. Tale espressione non rivela unicamente la sua funzione, il suo essere un inviato, ma mette in evidenza che all’inizio di tutto, all’origine della vita e della missione del Battista così come della nostra, c’è un altro protagonista, il vero protagonista: Dio. In un’epoca come quella attuale, dove prevale l’immagine dell’individuo invitato a realizzare sé stesso utilizzando tutti gli strumenti – onesti e disonesti – messi a sua disposizione, il Vangelo ricorda che il miraggio del self-made-man, dell’uomo che si fa da sé, è una pura illusione. Noi tutti, infatti, siamo stati pensati da un Altro che ci precede e ha un sogno su di noi: un sogno che toccherà a noi realizzare e in cui ci sarà dato di trovare felicità e pienezza. Il Battista aveva compreso che il sogno di Dio su di lui era di essere testimone: non il testimone di un uomo qualunque, per quanto famoso e potente egli potesse essere, ma della luce, vale a dire di qualcuno capace di illuminare, orientare, dare significato alla vita degli uomini. Non solo, quindi, all’inizio della vita del Battista è presente un altro – Dio – , ma anche tutto il resto della sua esistenza sarà in funzione di un altro: Gesù, il Verbo incarnato, il Figlio di Dio. Per tale motivo egli si definisce anzitutto per negazione e i numerosi “non sono” e “no” che costellano il brano di oggi non vanno innanzitutto interpretati come segni di umiltà; essi rivelano invece l’impossibilità insita nell’uomo di autodefinirsi da solo, sganciato dalla sua origine. Solo se inserito nel disegno di Dio sulla sua persona e su ogni uomo Giovanni può pensarsi come “voce” e può precisare il suo ruolo di battezzatore. “Voce” perché egli presta il fiato a Colui che è la Parola, il rivelatore del senso della storia, l’unico che, come scrive l’Apocalisse, è “degno di prendere il libro e aprirne i sigilli” (Ap 5,7) perché solo lui è in grado di interpretare e svelare il progetto di Dio su ciascuno di noi e sul mondo intero. Dopo essersi definito come “voce di uno che grida nel deserto”, Giovanni chiarisce davanti alle domande incalzanti degli inviati dei Giudei in che cosa consista il suo battesimo. Così come il gridare aveva lo scopo di preparare la via di qualcuno che sarebbe venuto, il Signore, nello stesso modo il battesimo ha la funzione di purificare e, di conseguenza, di preparare l’accoglienza di “uno” che è già presente in mezzo a loro benché nessuno, incluso Giovanni (cf Gv 1,31), lo conosca. È impressionante questa testimonianza così chiara e ferma fatta in riferimento a qualcuno che il Battista non conosce. Forse i racconti dei genitori – la sua nascita inattesa, il sobbalzare nel grembo della madre all’arrivo di Maria – avranno favorito in lui la maturazione di intensi desideri e la spasmodica attesa del Messia, ma è soprattutto sulla fiducia nella parola del profeta che Giovanni sembra radicare la sua testimonianza. Impariamo anche noi da lui a credere in questa Parola che nel Natale si svela a noi in tutta la sua pienezza fino a farsi carne e venire ad abitare in mezzo a noi (cf Gv 1,14).