Terza domenica di Avvento Mt 11,2-11
Spalanchiamo le porte a Cristo! –
a cura di Don Luciano Condina –
«Si rallegrino il deserto e la terra arida» (Is 35,1). Così inizia la prima lettura di questa terza domenica di Avvento, detta Gaudete, per la gioia che vuole esprimere al centro del cammino di digiuno e deserto che ci prepara ad accogliere la vita vera nel mondo.
Il deserto è categoria biblica importantissima, perché luogo per eccellenza della precarietà, dell’insicurezza del domani in cui niente è garantito, del vuoto esistenziale che ogni uomo sperimenta nel profondo di se stesso. E proprio dal deserto giunge la voce dei profeti, che annunciano ciò che Dio ha da dire agli uomini; è nel deserto, nelle prove della vita, che spesso comprendiamo le grandi verità e riceviamo i grandi insegnamenti. Nell’intontimento del benessere e dello svago è quasi impossibile cogliere il senso del nostro peregrinare verso la meta, perché la sazietà ci fa dimenticare di essere pellegrini, in cammino verso la terra promessa, e ci spinge invece a piantare le tende in oasi di passaggio che riteniamo dimore definitive.
Nel vangelo incontriamo un Giovanni Battista che appare dubbioso e bisognoso di conferme sull’autenticità di Gesù come Messia, al punto da far chiedere ai suoi discepoli se sia lui quello vero (Mt 11,3). Giovanni, profeta del deserto, si trova a vivere “il proprio” deserto in prigione: il buio del carcere è luogo in cui, anche per lui, la certezza di aver indicato in Gesù il Messia non è più così solida. Inoltre, attendeva un Messia-giudice, che avrebbe messo ordine e punito i colpevoli, in linea con la tradizione profetica e l’aspettativa comune della realtà storica del tempo. Il Battista invia i suoi discepoli da Cristo perché possano anche ricevere il conforto e il sostegno che egli non può più garantire.
L’immagine severa che Giovanni ha del Messia si scontra con Gesù che parla di misericordia, guarisce i malati, frequenta i peccatori e non mostra il volto minaccioso del Dio-giudice. Anche per Giovanni ha un volto diverso da come se lo aspettava. Così noi, vogliamo che Dio sia in qualche modo inquadrato nei nostri schemi, piegato alle nostre aspettative e – di conseguenza – lo riteniamo inutile, perché le sue vie non sono le nostre (cfr. Is 55,8); quindi non sappiamo che farcene.
Dio sconvolge, disarma, è sempre imprevedibile, non può seguire alcuno schema umano per esprimere chi Egli è. Non a caso, tutta la storia di Gesù è un continuo capovolgimento di ogni aspettativa di buon senso, tanto caro ai maestri di coerenza e di moralismo.
L’Avvento è il tempo in cui siamo chiamati a cogliere la presenza di Dio in ogni evento della nostra vita, anche il più difficile, fin nel posto più buio, poiché – non a caso – Gesù nasce proprio in un luogo scuro e maleodorante. Ogni uomo può trovare quel luogo nel profondo di se stesso e ammirare come Dio possa nascere proprio lì, per portare la luce di cui è bene gioire questa domenica: per questo motivo il colore liturgico può essere il rosa.
I ciechi che vedono sono i nostri occhi che smettono di osservare con sguardo idolatra le povere cose del mondo; gli zoppi che camminano sono le nostre gambe che, finalmente, possono camminare verso la luce; i lebbrosi purificati sono i nostri cuori sanati dai vizi che appesantiscono indegnamente le nostre esistenze; i sordi che odono sono le nostre orecchie che finalmente cominciano ad ascoltare la Parola, il Verbo, pronto a fecondare di vita nuova la nostra anima; i morti che risuscitano siamo noi, chiamati da Dio alla vita vera, eterna, la vita dell’anima.
Spalanchiamo le porte a Cristo!